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La ricchezza delle nazioni

Pubblicato da enzo cilento su 14 Agosto 2013, 15:22pm

Tags: #mater et magistra

La Chiesa... ed i sacerdoti locali attendano con molto zelo all'opera di evangelizzazione...Perciò dimostrino prontezza e, all'occasione, si offrano generosamente al proprio vescovo per iniziare l'attività missionaria nelle zone più lontane ed abbandonate della propria diocesi o anche di altre diocesi - riprende il decreto Ad gentes (III,20), decreto già preso in esame una settimana fa.

L'argomento - di grande attualità a mio avviso e senza che vi sia alcuna volontà, da parte mia, di dire alcunché di nuovo o di esaustivo in merito - oggi si presta peraltro a considerazioni più estensive del concetto stesso di "lontananza" e di "evangelizzazione"; anche alla luce del continuo e pressante richiamo dell'attuale pontefice ad intervenire fin nella periferie esistenziali della nostra società civile.

Al di là del fatto che nello stesso decreto non si manca di far notare l'urgenza dell'intervento "missionario" anche in terre di antica evangelizzazione dove sia in corso un processo di allontanamento dai valori cristiani; mi sembra che sia soprattutto la questione della lontananza e dell'abbandono da porsi in termini nuovi; soprattutto in tema di missionarietà.

Senza dimenticare che tutto ciò investe anche la discussione sugli strumenti e le forme di annuncio specifiche e nuove, in molti casi, che chiamano in causa la necessità stringente di non impigrirsi dietro schemi e cliché che ormai sono datati ed inadatti ai tempi correnti.

I concetti stessi di povertà e di lontananza, la periferia esistenziale di cui oggi si parla e che oggi vanno coniugati in maniera aggiornata al dettato del decreto conciliare, sono altra cosa rispetto ai nostri abituali canoni di pensiero.

Sono poveri tutti gli uomini che sono privati di un senso appagante dell'esistenza, innanzitutto; tutti coloro che cercano senza trovare (quaesivi et non inveni) e coloro che neppure cercano più, storditi ormai da troppi messaggi parziali, strumentali e contraddittori.

E' anche a loro - mi dico - che dobbiamo andare; anche agli artisti, al mondo della cultura, delle professioni. Senza contare l'universo in cui si nasconde (e neppure sempre in modo occulto) una sostanziale depressione, uno smarrimento che - esso sì - si cela dietro la ricerca affannosa del divertimento a buon mercato, sesso e gioco; alcol e droga, industria della compulsività e della iterazione compulsiva verso qualche forma più o meno acclarata di dipendenza e di rifugio che mascheri o metta a tacere il disagio.

Oggi, specie nell'Occidente, è là che siamo chiamati.

Ed è quella la nostra terra di missione - non l'unica, certo - ma forse la più pressante, la più ostica e la più bisognosa di interventi coraggiosi, innovativi e intellettualmente impegnativi. E' lì - io trovo - il deserto e la baraccopoli a cui siamo chiamati. Quel mondo non è il mondo di un dio minore. Non deve esserlo. Non riesco a pensarlo!

Le giovani Chiese (AG, 22) che hanno messo radici in Cristo e son costruite sopra il fondamento degli Apostoli, hanno la capacità meravigliosa di assorbire tutte le ricchezze delle nazioni che appunto a Cristo sono state assegnate in eredità. Esse traggono dalle consuetudini e dalle tradizioni, dal sapere e dalla cultura, dalle arti e dalle scienze dei loro popoli tutti gli elementi che valgono a render gloria al Creatore, a mettere in luce la grazia del Salvatore e a ben organizzare la vita cristiana.

Il passaggio in questione, del resto, va ancor di più al cuore del nuovo problema che si pone.

In era di globalizzazione a me sembra che "la ricchezza delle nazioni" cui il documento fa riferimento non sia più individuabile nel vecchio concetto di nazione intesa come entità racchiusa entro limiti geografici o etnici (l'enclave).

Le nazioni (e l'enclave) oggi sono trasversali e viaggiano attraverso la Rete ed il web, attraverso la condivisione culturale e di massa, in molti casi, per cui "della stessa nazione" sono individui che condividono codici e valori comuni, soprattutto, - per quanto possibile - e che vivono a distanze anche siderali: da New York a Djakarta; da Roma a Buenos Aires.

Di questo intreccio di cui è cablato il mondo della rete e dei media sono fatte le nuove nazioni: quelle degli agnostici e degli sfiduciati, dei cibernetici e degli scientisti; dei fideisti e dei tradizionalisti; dei superstiziosi e dei cabalisti; ma anche degli artisti e dei pittori, dei designers e degli ingegneri informatici, degli architetti del paesaggio e degli etologi; degli igienisti e degli psichiatri.

Oggi le nazioni sono più che mai categorie umane, culturali, professionali, talora ideologiche; sono nuovi arti e mestieri.

Ed è alla ricchezza di queste nazioni nuove che non si deve rinunciare; con cui la Chiesa Nuova vuole parlare, nel cui Areopago vuole sedersi; perché, se è vero che costoro sono pur sempre "soprattutto uomini"; un uomo, oggi, - e come sempre - è fatto soprattutto di ciò che lo costituisce strutturalmente, di ciò che lo alimenta e lo fa crescere, fino a farne, categoria per categoria, sempre più un consumatore esclusivo di un certo genere di beni ad esclusione di altri; ed una specie differente da ogni altra, per quanto questo possa sembrare una sorta di Torre di Babele in essere.

Il che, del resto, può anche esser vero - e in parte lo è - fatto salvo che, il potere universale della Chiesa consiste proprio nell'individuare e nell'indicare l'universalità del suo linguaggio e nel comporre e proporre l'azione unificante dello Spirito che fa sì che, da tutti, possa essere appreso quanto ella va proclamando.

Fatto salvo che le periferie vanno frequentate e interpellate (bisogna conoscerne il linguaggio, in primis, e le domande), che vanno valorizzate; e che vanno avvicinate, oggi in modo diverso, meno generico di quanto poteva farsi cinquant'anni fa.

La Chiesa attuale e il clero hanno risorse meno larghe che in passato - e questo è fuor di dubbio infine: "Perciò fin dal periodo di fondazione di una Chiesa, bisogna dedicare ogni cura alla formazione di un maturo laicato cristiano" (Ad Gentes, 21)- dettato che oggi mi sembra di una urgenza assoluta.

E' proprio la maturità di questo laicato - né solo di quello - che è in questione. La Chiesa tutta, ben lungi da qualsiasi clericalizzazione possibile, deve dotarsi di strumenti sempre più idonei a che laici, e non solo, maturino una consapevolezza ed una familiarità con le questioni in essere che non rendano la Chiesa né la Ong di cui parla sovente papa Bergoglio, né quell'esercito inviato spesso in avanguardia e allo sbaraglio, armato solo di lance scudi e buona volontà, di fronte a chi è dotato di laser, radar ed armi intelligenti.

La maturità della fede fa sì che tutta "la ricchezza delle nazioni" sia messa a disposizione della Verità.

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