C’è una considerazione che ritorna da quest’oggi nella mia coscienza, come una di quelle intuizioni improvvise: nulla di trascendentale, beninteso; una di quelle per cui ti verrebbe da dire “e come mai non ci avevo mai pensato?”. E’ emersa d’un tratto leggendo il passo del giorno, di Isaia.
Parlando di quel germoglio, di quel virgulto nuovo, il profeta dice di lui “Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra”.
Ci sono come delle parole chiave in tutto ciò, mi è sembrato.
Non siamo tutti infinitamente miseri dopotutto, cioè fragili nei nostri errori, nelle nostre cadute e nelle tante buone intenzioni che non vanno in porto? A ciascuno le sue.
Ora il primo passo per un uomo onesto, anche di fronte a Dio, di cui ha timore di perdere l’amore e la stima, l’affetto, è quello di riconoscerci per quel che siamo: fallaci e fragili, estremamente vacillanti. Anche se in fondo al cuore – e non per sentito dire né quindi secondo il giudizio altrui – siamo i più volenterosi degli uomini; i più mansueti, i più sensibili e generosi.
“Dio sa di che cosa siamo fatti” – dice anche un salmo.
E allora il giudizio ecco che si converte in giustizia: e la giustizia consiste nella considerazione di quello di cui siamo costituiti; carne piena di ferite e di sollecitazioni contraddittorie; delle nostre tante piccole cadute, dei fallimenti e anche delle buone intenzioni, in ogni campo.
Dio – dice il testo di Isaia – prende decisioni eque per gli umili della terra, che son quelli che sanno dire “ho fatto tutto quello che ero in grado di fare, che non è mai tanto, certo. Questo solo è nelle mie possibilità”.
Ecco, questo è il Dio della misericordia – mi pare.
Gli uomini – ne conosco tanti e parlo non dimenticandomi mai di me stesso e della mia condizione – sono sempre più deboli delle loro abitudini, dei piccoli vizi che col tempo hanno coltivato e di cui si sono fatti schiavi: della maldicenza, dell’attaccamento al denaro; dell’infedeltà e di tutto quello che può essere.
Ma il Dio misericordioso - se è tale - è quello che conosce il cuore dell’uomo, quel cuore che sa riconoscere in tutta onestà di non essere perfetto; che sa bene di cosa è fatto e di quali rovinose cadute ha costellato le sue giornate, la sua esistenza.
Questo Dio sa giudicare e non lo fa per sentito dire.
Soprattutto, a tutti offre una speranza: “so che hai fatto quel che sei riuscito a fare e che non neghi con te stesso il limite che ti accompagna”.
E’ questo Dio che di frequente scompare dall’orizzonte della nostra vita e della nostra coscienza.