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Grati e insomma felici

Pubblicato da Enzo Cilento su 13 Aprile 2015, 08:06am

Tags: #mater et magistra

Anche gli Ordini religiosi, quelli più tradizionali ed antichi, hanno sempre saputo e voluto abbinare il lavoro alla preghiera; per quanto la preghiera stessa sia per certi versi un lavoro: c’è la fatica, talvolta il rischio della ripetitività. E poi c’è il lavoro della liturgia: imparare a salmodiare, il tono retto e il gregoriano; o tutto quel che sia.

Ed è un lavoro insomma anche questo, che può piacere o non piacere, oltretutto.

Che anzi mi ricordo che se c’era una cosa che detestavo nel periodo in cui sono stato “ospite” presso un monastero, lontano, erano le prove di canto, con tutti i loro ghirigori sacrosanti, insomma, per dire…

Ad ogni modo, per quanto mi piaccia leggere e studiare (molto meno, insegnare) - e anche questo è un lavoro - ;

“scrivere” che lo è soprattutto, anche se non fa sudare; e anche qui potrei dire dei religiosi e degli scrivani ed amanuensi che ci hanno conservato tutto quel che c’era da salvare della letteratura greca e latina, soprattutto;

trovare ora un modo per guadagnare qualcosa – un lavoro – dal momento che non vivo di elemosina, purtroppo, è diventato quanto mai opportuno.

Per anni mi sono diviso tra giornali e sport e quindi è da qui che ricomincio, pur non rinunciando al mio sogno “religioso”.

Ora, ricominciare a spiegare le tecniche sportive (e quelle alimentari); il metodo del Pilates, in palestra, a qualcuno – anche a me a volte – può sembrare assai distante da quel che avevo desiderato fare, affidandomi al Buon Signore.

Il che in fondo è un segno di miopia: o Suo; o molto più realisticamente, mio.

Si può insegnare l’armonia tra corpo e spirito, ad esempio; una sana cultura del benessere pur che non sia un idolo assoluto; si può aiutare a stare meglio, con qualche chilo in meno; con qualche dolore in meno e a socializzare, quando serve, a rilassarsi; ad amarsi, come il Padreterno dovrebbe averci amato – dico – per averci voluto in questo modo invece che in altro; ed averci alla fine dato questo corpo, qui e ora.

Ma – come tante volte si è già ripetuto – resiste a tutt’oggi una cultura dicotomica che vede le due realtà distanti, per non dire contrapposte e questo a volte mi fa un po’ specie, risollevando in me stesso, non poca resistenza.

C’è una cosa però di cui sono sempre più convinto: che questa dimensione e questa scelta non dev’essere mai confusa con un rifiuto della vita. Che se c’è questa gratitudine a Dio o solo alla vita, essa passa attraverso il gusto delle cose che abbiamo e che viviamo.

Che ci chiama a vivere e non ad essere tristi, consapevoli ma mai prigionieri del passato: anche del nostro.

Non possiamo in pratica permetterci il lusso della recriminazione senza fine. Che dobbiamo costruire e andare avanti invece, con gioia (e con fatica) e che questo è già parte del premio che ci è dato: a tutti.

Così come “non c’è più greco nè giudeo, uomo o donna” di fronte a Cristo e quindi ogni differenza deve essere superata da questa salvezza – che è salvezza di tutta la nostra vita e delle cose belle che facciamo (persino di quelle che lo sono meno).

E’ per questo che non di rado mi sono interrogato su chi tende ad escludere e a “concludere l’orto” per paura di condividere ed accogliere: tu sei nero e non puoi; tu sei misero e quindi non puoi; tu sei intelligente e ribelle e quindi non ci servi; tu sei diverso – in qualsiasi modo – e quindi non ti è consentito.

E’ una pretesa questa che non può trovare spazio nel richiamo con l’Assoluto (“chi siamo noi per giudicare?”).

E se un uomo e una donna percorrono altre vie con un sincero desiderio di armonia e di pace, di amicizia col prossimo e con Dio, non può esserci gerarchia alcuna; tradizione alcuna che possa chiudere irrimediabilmente, pur illustrando con grande rispetto – c’è da augurarsi – il senso della sua ragione e del suo Magistero.

Penso al mio volantino con cui parlavo tempo fa di scrittura (altra piccola fonte di gioia e di guadagno (?) per il sottoscritto) e oggi di Pilates; e pensavo a quella “Elasticità e tono muscolare, respirazione e concentrazione, eleganza e postura” che avevo propagandato.

L’elasticità e l’armonia sono un dono di Dio anch’essi e dovrebbero diventare una caretteristica della nostra mente oltre che della nostra fede.

“Il Pilates è la ginnastica del corpo e della mente. La ginnastica dello spirito che ha spopolato in America e nel mondo dello spettacolo e della danza. Adatto ad un pubblico di tutte le età” – concludevo.

Mi dicevano di monaci perlopiù americani che vivono a Gubbio e del fatto che in monastero c’è persino un piccolo spazio per lo sport; che si può fare yoga – per dire...

Benedetti americani che ci fregano sempre sul tempo!

Ma chi l’ha detto che non si possa coniugare “suda e lavora”? Siamo chiamati e salvati per la vita, non per la tristezza: niente sguardi afflitti; basta con quelle facce da funerale, da Quaresima, sempre. E’ modo questo per esserGli grati?

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B
Una forma di preghiera, di ringraziamento a Dio (per chi crede) per ciò che abbiamo e viviamo: mani e braccia, gambe e piedi di ballerini, pattinatori, ginnaste ed anche i nostri arti che quotidianamente si muovono ovunque manipolano, accarezzano, stringono, corrono, saltano, salgono e scendono, abbracciano e senza accorgersene oppure volutamente afferrano al vita.<br /> Non sono una sportiva (l’ho già detto), ma quando ho avuto l’opportunità/la necessità di “muovere” il corpo (per esempio sul piccolissimo palcoscenico della parrocchia con il tutù rosso e le note dell’Ave Maria di Schubert a nove anni oppure in piscina ed in palestra per quel poco piacevole mal di schiena che affligge più o meno molta gente) sono certa che i movimenti erano accompagnati da un’energia, una forza, un’armonia che nascono nella parte di noi che non si tocca, ma che ci spinge a tirar fuori quello che ci serve, quello che sentiamo nel profondo con tutta la sua Forza e la sua Bellezza.
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B
E’ vero: in nome della bellezza della Vita è giusto lavorarci su, metterci le mani in quello che abbiamo e che viviamo. E non a caso quando si fa un qualcosa con pieno convincimento e grande volontà diciamo di metterci “anima e corpo” (mi tornano in mente le parole di quel duetto canoro “bianco e nero” (guarda un po’!) - famoso negli anni settanta).<br /> Che poi ognuno lavorerà e si adopererà per “ottenere” il meglio da questa collaborazione: nel lavoro, nello sport, negli affetti e in ogni espressione di vita.<br /> Mi torna alla mente quello che ho studiato nella storia dell’arte: …..l’arte per via di porre o per via di levare…. come si diceva nel trattato di Leon Battista Alberti; concetti poi ripresi anche da Michelangelo che con le sue sculture voleva…. “tirar fuori l’idea custodita nella materia”: e mi piace fermarla così l’immagine dell’anima custodita nel corpo, un’anima che lo fa parlare, cantare, scrivere, dipingere, lavorare, ballare, suonare, amare, giocare e………….vivere.
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