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Efrem la cetra dello Spirito

Pubblicato da enzo cilento su 12 Giugno 2013, 17:25pm

Tags: #I PADRI

Fa' risplendere, o Signore, il giorno luminoso della tua scienza e scaccia la notte tenebrosa dalla nostra mente, perché sia illuminata e ti serva nella novità della purezza.

Il sorgere del sole segna l'inizio dell'attività dei mortali.

Fa', o Signore, che perduri nelle nostre menti il giorno che non conosce la fine.

Donaci di vedere in noi stessi la vita della risurrezione e fa' che nulla distolga il nostro spirito dalla tue gioie.

Imprimi in noi, o Signore, il segno di questo giorno che non trae inizio dal sole, infondendoci una costante ricerca di te.

Chi scrive questa dolcissima preghiera è S. Efrem diacono, figura sulla cui esistenza invero conosciamo pochissimo, se non il fatto indiscusso che ci ha lasciato pagine belle come questa e che per la sua predicazione abbia scelto il mezzo che gli era più congeniale, quello della poesia, attingendo oltretutto e ad una incontestabile vena lirica e ad una conoscenza approfondita delle Scritture, nonostante venisse da una famiglia per metà pagana (il padre era sacerdote dei culti pagani). Fu questo il motivo per cui fu prima cacciato di casa - era nato a Nisibi, nella Mesopotamia settentrionale all'inizio del IV secolo - accontentandosi di lavorare come inserviente in pubblici bagni; sia, in seguito fu costretto a vivere tutta il resto della sua vita in esilio: ai limiti della nascente cristianità, a Edessa, dove peraltro fondò una scuola.

Umile finché si vuole né apologeta e polemista, è anche a lui ed ai suoi versi però che si deve la prima diffusione del canto religioso "alternato", in questo, degno contemporaneo di Ambrogio e Diodoro di Antiochia; tanto da essere celebrato come "la cetra dello Spirito Santo".

"Più splendente del sole, conciliatrice del cielo e della terra, pace gaudio e salute del mondo, corona delle vergini, tutta pura, immacolata, incorrotta, beatissima, inviolata, venerata, onorabile" -

scriverà invece in uno dei suoi venti inni dedicati a Maria, atro grande amore della sua vita, costante oggetto della sua poesia.

Come levandosi in piedi, come nell'antica tradizione dell'Akathistos, il canto recitato, levandosi, alla Vergine nelle Chiese orientali; Efrem sembra a sua volta ripetere le parole dell'Angelo Gabriele, riecheggiandole già solo nel tono litanico e popolare dei versi: "Ave, tu guida al superno consiglio; tu prova d'arcano mistero.... Ave, o Sala celeste che scelse l'Eterno, Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo; Ave, dai cori degli Angeli cantato portento... La virtù dell'Altissimo adombrò e rese Madre, la Vergine ignara di nozze: quel seno fecondo dall'alto divenne qual campo ubertoso per tutti, che vogliono coglier salvezza, cantando così: Alleluia".

Di tanto amore fu ricompensato in santità di vita e nell'onore degli altari, fino ad essere riconosciuto dottore della Chiesa da Papa Benedetto XV, nel 1920, millecinquecento anni dopo la sua morte, avvenuta infatti il 9 giugno del 373.

Onore inusitato ed inatteso per un uomo che rimase diacono fino alla fine, voce della fede dei semplici, teologo e mistico profondo eppure ignaro del greco e di tutte le controversie trinitarie del suo tempo.

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