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Dell'inattesa giovinezza

Pubblicato da enzo cilento su 12 Giugno 2013, 03:56am

"Perché voi monti avete saltato di gioia come arieti, e voi colline come agnelli di un gregge?" - riprende stamane Origene, commentando il passo del libro di Giosuè in cui si descrive l'aprirsi della acque del Giordano, di fronte al popolo di Israele ed al suo passaggio; e facendo inoltre riferimento al Salmo 113.

Infatti "Il mare vide e si ritrasse, il Giordano si volse indietro... Trema terra davanti al Signore, davanti al Dio di Giacobbe, che muta la rupe in un lago, la roccia in sorgenti d'acqua".

Che è poi l'esperienza miracolosa che fa ogni uomo cambiato dalla Grazia, non appena ne viene sfiorato: rupe mutata in lago, roccia che zampilla sorgenti d'acqua, come nelle storie belle e popolari di tante apparizioni mariane; in tanti racconti propri della vita dei santi.

Il miracolo di essere trasformati da ciò che non ha vita e non ne può dare, in qualcosa che invece è sorgente della vita, acqua. Perché infine il simbolismo è questo: la vita zampilla da un corpo sterile, come il fico che d'improvviso dà frutti, come il deserto che diventa una sorgente; come ciò che è arido che diventa all'improvviso capace di generare figli, come un grembo sterile, persino quello di una vecchia.

E solo Dio sa quante volte il nostro cuore è sterile e rattrappito come il grembo di una vecchia, indurito come una roccia, non più guadabile se non dal miracolo di un dono inatteso.

E' solo la storia di ogni uomo a cui Dio viene incontro aprendo una breccia, aprendo un varco tra le spine o tra le acque limacciose della propria esistenza; ed è solo la storia di ogni popolo che si trova un Dio così vicino da essere guidato fuori dal suo esilio, dalla sua esclusione, per partecipare invece, inaspettatamente, anch'esso, a quella gioia che gli sembrava preclusa e perduta per sempre: ognuno dal suo Egitto; ognuno dalla sua tristezza, dove non potevamo infatti noi cantare e le nostre cetre erano rimaste appese ai rami dei salici perché non c'era più un solo motivo per prenderle di nuovo in mano e sfiorarle, nella nostra terra del lutto.

La verità è che non sono state le nostre forze - talora solo la nostra pazienza - ad ottenere quanto ora apprezziamo, "invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare, voi che mangiate un pane di fatica: al suo prediletto egli lo darà nel sonno".

Mentre "Ecco, eredità del Signore sono i figli, è sua ricompensa il frutto del grembo...i figli avuti in giovinezza".

Mi sono spesso chiesto chi fossero questi figli ottenuti in giovinezza. Poi ieri mattina mi è sembrato di afferrare: ma è la giovinezza del cuore, solo quella. Ed è quella che mette al mondo figli. Solo quella.

Figli che sono vita e slancio, entusiasmo e desiderio di passare di continuo il Giordano, di andare oltre o di stare in pace in questa condizione di chi va oltre, ogni giorno: affrontando i propri limiti, quelli altrui, cercando un senso e non accontentandosi del braco in cui pure si potrebbe trovare piacere e sollazzo; di chi libertà va cercando ch'è sì cara - come diceva Dante.

La giovinezza - quella che viene da questa novità che ci cambia e che ci dà carica - ci mette frecce come in mano ad un guerriero; ci riempie le faretre; ci farà persino trattare con i nostri nemici senza doverne provare paura o vergogna.

E' da questa terra vecchia, di Nulla, che siamo preceduti, da Uno che ci viene incontro, sempre, come il Padre del Vangelo del Figlio Prodigo, perché entriamo in una Terra di Giovinezza, dove persino la tempesta delle acque e gli inganni delle correnti di un fiume in piena si placa: "cammina, non aver paura"- ancora come il Cristo, tendendo le mani al suo discepolo impaurito.

Forse da tanta inattesa giovinezza.

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