Quando vedo gente che fa sport, come stamattina, non so che essere felice. Credo che sia una benedizione avere cura di sé stessi. Ma di questo si è già detto più volte. Così come della mia volontà di prendere contatto (credo che lo farò a breve) con quegli atleti (famosi e non) che si fanno chiamare “Atleti di Cristo”, perché ritengo che ci possano essere delle cose che potremmo mettere in comune: la ricerca e il gusto di ringraziare chi questo gusto e questi brandelli di salute non ce li ha fatti perdere, insomma.
Così come allo stesso modo, costituiscono un grande inno alla vita ed alla fede tutti quegli atleti che partono da handicap fisici e psico-fisici (paraolimpici e non); quelli che vengono fuori da storie oncologiche e cliniche complicate e per certi versi inabilitanti; quelli che vengono da percorsi di recupero da ogni forma di dipendenza. E chiedo scusa qui per tutto ciò che qui avrò dimenticato.
Erano cinque ragazzini – ragazzi e ragazze – attorno al campo di calcio stamattina, pantaloncini e canottiera, per correre torno, torno. Li avevo incontrati anche ieri nella palestra del paese, mi è sembrato …
Sarei sceso a correre con loro, se non fossi stato in abiti civili. E insomma come si fa a non ringraziare il Padreterno di questa volontà di farci del bene; di aprire i polmoni ed il cuore alla vita; di questa possibilità che abbiamo di articolare ginocchia anche e caviglie; di questa colonna che ci sorregge; di questo apparato muscolo scheletrico che ancora ci risponde? E’ lode davvero a Dio, questa.
Ed io, spontaneamente mi sono sentito contento: ero più giovane e più felice, consapevole di loro. Esserci insomma e avere l’armonia nel sangue e nella mente.
Ieri mi riguardavo le riprese di un ballerino di danza moderna in azione (grazie Anselmo, per il link!): ho ricordato ancora una volta tutto il mio amore per l’arte ed il teatro.
NON MI ALLONTANA DA DIO.
Mi fa cantare il cuore invece: questo dico. E invece quante resistenze …
Ma tant’è! E dire che vengo fuori da una notte turbata da sogni tristi. Mio padre e mio madre lontani e quasi a sovrapporsi alla loro figura quella dei nonni, con cui si confondevano i volti. Tanto che insomma mi son chiesto, davvero tra le lacrime, svegliandomi: “Dio perché consenti questo?” E intendevo l’invecchiamento e l’inevitabile separazione, da qui a mill’anni, certo …
Ma la vita è più forte degli incubi e della notte – dico – e non prendersene cura, non accoglierla è un delitto. Che devi danzare fin che puoi, al ritmo che ti si confà; che devi correre e camminare come senti di poter fare. E imparare.
In un breve periodo della mia adolescenza ho frequentato le vacanze estive di CL. Una delle pratiche che Giussani prediligeva era questo farci camminare assieme, in fila, su in montagna. Andavamo in Valtournanche, in Valle d’Aosta. Camminare assieme; prendere il ritmo è sempre un bel fare: è procedere imparando il passo e facendosi coraggio a vicenda, su in salita (io temevo di più le discese e le pietraie!).
Poi nulla esclude che si cammini da soli. Ma è il cuore che è uno; è il passo che conta e questo non lo si dimentica più.
Un’ultima nota.
Non credevo che in Italia (e non solo) vi fossero tante persone che avessero scelto l’eremitaggio, la solitudine (che è poi solo apparente, per il motivo di cui sopra).
Sono soli e non sono asociali, ecco: anzi sono soli perché innamorati di Dio, senza dimenticare in alcun modo l’uomo.
Questi contatti sono caduti un po’ per caso nel mio blog, in questi giorni. Forse al momento giusto; forse come una benedizione.
Mentre penso alla bellezza leggera e straniante di quei ragazzi vicino ad un campetto di calcio alla periferia del mondo.