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Lo sport che non c'è più

Pubblicato da Enzo Cilento su 11 Giugno 2015, 18:04pm

Tags: #un altro sport

Andavamo ad allenarci al pomeriggio, dopo pranzo, nella palestra in terra battuta del nostro liceo, da ragazzini. Frequentavamo il ginnasio e ogni anno si metteva su il Gruppo Sportivo (allora si chiamava così) guidato dal nostro professore di Educazione Fisica, un mito, Algerino.

Chi lo ricorda sa bene di cosa parlo. Anzi, erano in due, marito e moglie, Enza ed Algerino, vecchi amici di famiglia, per i miei.

E’ difficile immaginare oggi che è tutta una griffe ed uno sfoggio di materiale tecnologici, come si andasse a fare atletica.

Io indossavo delle Superga blu, per correre, piatte. Così come ricordo sempre con un po’ di invidia quelle rosse che indossava invece un mio compagno, un vero azzardo cromatico allora.

Qualcuno tra noi è diventato a sua volta professore di ginnastica, come si diceva un tempo: guarda un po’. E qualcuno in ogni caso me lo sono rivisto a fianco in palestra; o contro, in qualche partita a ritmi bassi, a calcetto.

E’ difficile spiegare ai ragazzini che giocavamo su un campo in discesa e ben scosceso, buche e ciuffi d’erba a tradimento, a pallone, a suo tempo. Che avevo una maglietta in flanella – credo – comunque nerazzurra e già con questa ero un privilegiato. Che un anno a Natale mi regalarono lo scarpino della Pantofola d’Oro e che mi sembrava la scarpa di Mazzola. E che infine tornavo a casa con le ginocchia sbucciate, visto il fondo: non di rado anche l’asfalto, davanti alla chiesa. E io anche in porta: che tuffi e che lividure!

Quel modo lì di giocare, quello spirito, è quello che rivedo ora per strada, nelle favelas del mondo; solo là;

nei campi degli immigrati e degli sfollati; dei terremotati del Nepal e di altre terre sommerse, come queste, dai nostri rifiuti, dalle cose che non usiamo e che regaliamo loro, non sapendo che ci regalano uno spirito ed un divertimento che non abbiamo più. Quando per giocare e per andare in palestra bastava così poco che era alla portata di tutti. Non era un’industria: non ancora.

Era solo voglia di vivere e di rincorrersi senza troppe pretese. Era lo sport che tra noi non c’è più.

Lo sport che non c'è più
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