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Di che spirito sei

Pubblicato da Enzo Cilento su 12 Giugno 2015, 08:18am

Tags: #Vita consacrata

Di quale spiritualità si tratta, dunque? – mi chiedono. E io che so bene che dei padri uno se li deve dare (o li ha?) e in ogni caso serve una auctoritas per essere riconoscibili, ho sempre qualche difficoltà.

La domanda in sé somiglia un po’ a come quando ti chiedono se suoni il soul o il rock (mi si lasci passare il paragone); se fai teatro di prosa, quello classico, tragico o comico, l’avanguardia semmai; se scrivi romanzi e di che genere, tutto detto con le dovute differenze, ovvio!

Io penso in effetti che noi siamo costituiti dalle nostre esperienze che sono poi i nostri incontri, che son quindi tutti costitutivamente culturali, perché infatti ogni incontro che incide, diventa base – background – della nostra cultura, cioè di ciò che ci costituisce su cui sediamo, in movimento ma su cui basiamo il nostro movimento.

Ciò nondimeno ad un musicista che non sia uno stanco ripetitore di cose già sentite nessuno dirà che fa Mozart o invece Stravinskj: egli fa sé stesso, anche se conosce presumibilmente e magari ama l’uno e l’altro e ha preso dall’uno e dall’altro.

Questo per dire che pur innestandoci nella grande tradizione cristiana e monastica, nel tempo credo di avere assimilato e di avere assunto (amato, soprattutto) caratteristiche diversificate di cui ho fatto esperienza nel tempo, quelle che peraltro ho trovato più adatte alla mia inclinazione e al mio talento, a quella sorta di scelta di vita che vado ideando, su cui rifletto.

Mi piace lo stile della preghiera monastica – per dire - pur non avendo una particolare predisposizione per il gregoriano: non ne faccio un feticcio, una condizione essenziale. Si può pregare in retto tono e in gregoriano, ma non mi sembra questo il centro della questione.

Apprezzo l’idea imprescindibile del giusto equilibrio tra preghiera e lavoro (ora et labora) – per continuare - ma non credo che sia il lavoro della terra, come spesso per tradizione, quello nel quale saprei dare il meglio di me né ciò che mi vien chiesto (e guardate che ci vien chiesto sempre il meglio di noi, mai il peggio di noi stessi). Per cui non si può dire neppure che sia mancante nella tradizione il lavoro culturale (labora), intellettuale; non solo quello del copista e dell’amanuense, dell’editore, del redattore, del compilatore; per non dire di quello dello scrittore, del pensatore e del filosofo.

Ovvio che non mi identifichi in tutto (non tutto si può fare); ma insomma capisco che è quella la traccia lungo la quale mi muovo, pur non essendo esclusiva. Così come l’esperienza mi ricorda d’un tratto quanto si sia operato nell’istruzione, nell’educazione. Non mi sottraggo, per dire, se capita, a fare lezione, qualche ripetizione in linea con le mie competenze!

E’ così che sopravvivo, anche perché l’autosufficienza è una cosa buona per non dover essere angustiati e di peso a nessuno.

Credo che come in tanti campi si possa parlare anche qui di una sorta di eclettismo. Ho anche i miei “padri”, non solo tutelari: sono figlio anche io di qualcuno. Li vado ricordando e a quell’autorità mi rifaccio.

Amo Agostino, per molti versi: è stato il primo amore della mia giovinezza, fin dall’Università; mi richiamo alla povertà di san Francesco d’Assisi, ancora, la sobrietà.

Non dimentico le grandi esperienze di tutta la tradizione monastica. Non si può dimenticare Benedetto e le varie famiglie successive; le esperienze nelle chiese d’Oriente.

Di volta in volta mi riscopro a valorizzare nuove spiritualità di valore e di riferimento. Un’ultima scoperta per me è stata quella di Norberto di Xanten e dei Premostratensi. Insomma, una banderuola?

Ma ci sarà una spiritualità di riferimento, buon Dio! E’ tutta la tradizione certo; da usare. Come il famoso nano sulla spalla del gigante che insomma sa guardare anche oltre, a partire da …

Con un obiettivo puntato su Cristo, ovviamente. E’ a lui che si guarda perché si divenga “cristiformi”. Ed è questo il dato essenziale da cui partire, ecco.

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