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L'Agata de li Goti

Pubblicato da enzo cilento su 18 Marzo 2015, 11:54am

Tags: #Lo spirito del viaggio

L'Agata de li Goti

Non perché cadesse la ricorrenza della festa che le è dedicata. Non era il 5 febbraio, Sant’Agata insomma, festa grande a Catania e per le due chiese romane che ne portano il nome, S. Agata in Trastevere e S.Agata dei Goti; non per questo insomma, ma quel pomeriggio l’ho trovata aperta finalmente la Chiesa di S.Agata dei Goti, nei pressi di via Panisperna, per capirci, a Roma.

Ed era una vita che desideravo entrarci perché quella santa dei Goti (bello no?); per quel richiamo a quel suo nome stesso antico, “Historia Gothorum”, mi ricorda i miei studi univerisitari e il Medioevo tanto amato e favoleggiato.

Che per me quella regina dei Goti era come la regina di Saba, e la regina del Sud, quella che venne dal re Salomone per saperne di più della sua leggendaria sapienza.

E questi Goti, ariani di fede e romani ormai di appartenenza per il resto, nel cuore della città ormai con quella chiesa che ne portava il nome, sono un bel mistero di contaminazione, tra cultura di confine e barbara, per dire; e cultura mediterranea e classica, latina.

E le corone delle regine longobarde e dei goti, le croci piene di lapislazzuli e di pietre incastonate, con pendenti e pietre agli estremi, come quelle di Agilulfo, sono una costante della mia immaginazione: tanto che quella di Agilulfo finì per andare sulla locandina di un mio spettacolo a teatro. Né poteva essere diversamente.

Anche la gloria dei Goti però, come il culto di s. Agata e di quella chiesa, conobbe il suo declino e la chiesa veduta e visitata qualche settimana addietro, fu in breve abbandonata – dicon le guide: Giustiniano, bizantino, ne aveva cancellato la presenza, allora, nel secolo VI, con la sua aquila imperiale.

Poi tanti rimaneggiamenti in loco, com’è d’uopo; la costruzione di un cenobio, di un monastero benedettino, l’approdo dei monaci di Montevergine, gli Umiliati; l’affidamento al clero secolare; infine la Consacrazione delle Sacre Stimmate, gli Stimmatini, che ne detengono ancora oggi la tutela; e alla cui premura devo finalmente il piacere recente di avervi potuto accedere.

E’ la consueta oasi nel cuore di Roma, un altro scrigno; e non entro nel merito della storia dell’arte: non mi compete.

Tu entri in un chiostro – in quel che ne resta – un po’ di lapidi di affreschi e di sarcofagi che mi ricorda – per dire - l’entrata di s. Ambrogio in Milano – col suo pozzo al centro del chiostro, come ‘è d’uso, che infatti ovunque ne ho veduti di simili; e ne ho veduti dai cappuccini amici miei in s. Giovanni Campano, in casa di San Tommaso di Aquino, quelli che tempo fa mi hanno ospitato (c’avevano l’orto e le galline e anche un cagnetto un po’ ringhioso; e poi le viti e gli olivi); ne ho visto persino a Chiaravalle milanese, dove il chiostro l’ho lavato e lucidato qualche volta, durante la mia permanenza; e infine nel monastero - in passato dei Frati Minimi - su Trinità dei Monti, dov’è oggi il collegio francese, il de Merode, la Fraternità di Gerusalemme e tutto è molto austero e museale.

Mentre qui regna una certa trasandatezza per ora: vi si scende come ad un livello più basso di quello della strada; e immediatamente, dopo un portico che sembra raccogliere il materiale archeologico trovato nel sito, un po’ alla rinfusa, si entra in una chiesa ampiamente rimaneggiata, ma pur sempre con una sua atmosfera, che val la pena respirare.

Come l’atmosfera di S. Martino ai Monti, mi viene in mente adesso, a non molta distanza; ma non cupa, misteriosa, perché vi son passati i Goti certo e le loro regine; la loro fede barbarica e i loro monili; la ferma convinzione che Cristo non fosse “consustanziale col Padre”, come sostenevano gli ariani. E vi son passate genti che non ci sono più, mischiate in quel coacervo che sa essere la storia sempre e ovunque e a Roma soprattutto, mamma e matrigna, capace di conquistare persino Cristina la svedese e Teodolinda, per dire, se mai vi sostò; e ancora le signore di Canossa e quelle catalane; le gote le barbare le siciliane; in un tutt’uno, cardinali e vescovi di ogni dove, come racconta questa chiesa e la sua storia, a scorrerla: da Toledo e da Borromeo; di Lorena e Barberini; Catalan e Ordine degli Umiliati: “le donne i cavalier, l’arme gli amori… “ avrebbe detto Ariosto, in quel di Ferrara e Reggio Emilia, “parva sed apta mihi”, come s. Agata, dei Goti e di tutti i barbari e gli stranieri che vi approdano, da lontano, sempre da molto lontano, lontano nella storia e nell’eternità che passa anch’essa, a modo suo, per molto strani fini.

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