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Nè con tristezza nè per forza

Pubblicato da enzo cilento su 10 Agosto 2013, 09:26am

Quanto ho deciso di dare, secondo quanto ho deciso nel mio cuore - come dice Paolo, nella Seconda Lettera ai Corinzi - vorrei saperlo donare, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia.

E non solo Dio ama chi dona con gioia. Lo fa infatti chiunque riceva quel dono come un dono gratuito; chiunque ci guardi e, dietro le nostre azioni non veda null'altro che il piacere di compierle.

Non perché costretti, non perché intenzionati a riceverne un contraccambio, dunque; e neppure perché pensiamo di essere retribuiti in qualche modo: dagli uomini o invece da Dio; mentre il nostro sforzo si compie solo in nome di questo commercio: fosse pure la vita eterna.

Questa, infatti, si assapora fin da qui, è chiaro; e agire solo in vista di questa sarebbe svilire tutto ciò che facciamo, chiunque ci circondi e ci faccia compagnia; mentre tutto ciò finirebbe col dare ragione a chi rimprovera al cristiano di essere incapace di dar valore alla vita.

Perché se la speranza e la fede sono virtù che si completano col tempo, si compiono, e nessuno sa dire come e quando - speranza e fede nel futuro, attesa, hanno in comune persino le radici etimologiche - non è certo con la tristezza o con la frustrazione che si dà corpo alla gioia dell'attesa.

Un'attesa triste dopotutto non porta a nessun frutto che non sia la rivalsa, mentre un'attesa gioiosa avviene solo a partire da una fede piena di speranza, di fiducia piena: non solo nel futuro, ma nella eterna e mai caduca fedeltà di Dio e dei suoi disegni.

Chi dona con gioia, confida in questa gioia: è essa stessa la sua paga.

Chi con tristezza, forse non aderisce ancora appieno a questa gioia di donare; e attende con ansia e trepidazione che tutto gli venga restituito: avverrà?.

"Via da me, non vi ho mai conosciuti" - forse ci sentiremo dire...

Si può dire infatti di aver riconosciuto Cristo ed il suo annuncio, la sua promessa, se il nostro aspetto è sempre quello del lutto; se il nostro capo è cosparso eternamente di cenere e dentro di noi non vi è letizia come accade invece per chi è innamorato, ma solo preoccupazione, ansia e depressione, inquietudine, quella che attanaglia chi non si sente corrisposto?

E se non ti senti corrisposto non è forse perché non nutri fiducia nell'amore di colui che pur ritieni di amare? Non sei come colui che vive la frustrazione dell'amante incompreso e trascurato; mentre la letizia nasce solo dall'amore che si sente ricambiato?

E' la letizia del cuore insomma, credo, il criterio di discernimento per capire la nostra condizione reale. Esser lieto o non esserlo: è questo il segno della nostra fiducia. In Lui ed in chiunque. Il resto è titanismo ed eroismo; persino masochismo e testardaggine: "voglio che tu mi ami. Faccio di tutto perché tu mi ami", dove non c'è consapevolezza che sia già così. "Perché non m'ami?"

Ci sentiamo amanti costretti ad un matrimonio infelice in cui l'amato si sottrae ai suoi doveri coniugali; o invece innamorati che quasi si stupiscono di essere amati così tanto? Ed è solo la seconda condizione quella che ci fa donare dal cuore; quanto abbiamo deciso, dal profondo, di dare; e di farlo oltretutto con quel po' di spericolatezza che è propria di chi ama, senza fare i conti del ragioniere e pesare ogni cosa ed azione col bilancino del salumiere: Venti Ave Maria e dieci Novene; un digiuno settimanale e un miliardo di rinunce per conquistarti, anche se l'amore è pure fatica, certo, talora, pazienza, ma quella che mette gioia a farla; non mai tristezza.

Mi ami tu? Pasci le mie pecore...

Ma sei libero.

E se non lo fossi, mi malediresti.

Donare con gioia, del resto, non è neppure un'operazione che possiamo imporre a noi stessi: bisogna pur rendersene conto.

Possiamo solo interrogarci in merito: con onestà.

E sapere se quell'atto nasce da una pienezza del cuore o da un abisso patologicamente non colmato, per il quale continuiamo a dare, solo nella speranza di ricevere qualcosa, come dei mendicanti.

Credo che il nostro cuore, pur sempre bisognoso e mendico per alcuni versi, impari a dare solo dal momento in cui sente che non è il bisogno solo a muoverci verso di Lui, ma la certezza della sua presenza.

Che si parte sempre dalla fede (quindi dalla speranza piena di fiducia): non dal bisogno di averne, benché tutti ne abbiamo bisogno, sempre: di averne un po' di più.

Che non amiamo mai nessuno perché la nostra vita è vuota, per riempirla e darle un senso; ma perché amiamo la vita stessa fino a morire; le siamo grati e quindi capaci di cogliere e di condividere: mentre mi torna in mente che nemo dat quod non habet.

La gioia con cui doniamo, viene dalla gioia di avere di che donare; non dalla tristezza di non poter condividere nulla. E' il cuore la differenza.

E' la nostra ricchezza che ci fa dare. A chi il sessanta a chi il trenta a chi il dieci per uno.

Possiamo chiederla, certo e pregare per averla, questa ricchezza. Per donarla, certo. Solo il dono che ci è stato fatto è il bene che possiamo rimettere in gioco e dare. Con letizia e persino con leggerezza. Perché sappiamo che quella ricchezza è sempre lì, gratuita, a nostra disposizione. E che non abbiamo soldi, per fortuna, per poterne comperare.

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