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I paradossi degli Stoici

Pubblicato da enzo cilento su 13 Settembre 2013, 08:58am

Sono giorni furenti questi, o forse lo sono tutti i giorni della nostra vita; giorni in cui si è invitati a schierarsi: "da che parte stai?"; "Tu, con chi stai?".

E non a caso, il fondo della sua parabola, Pietro la visse quando negò di confessare da che parte fosse, con chi si accompagnasse prima della Passione, se non forse anche lui dalla parte di quel Galileo...

Credo - sommessamente - che siamo tutti interpellati in tal senso: ogni giorno della nostra vita. E che una risposta sia dovuta: "Tu, da che parte stai?".

Mi capita, di contro e molto spesso, di imbattermi invece in una chiave di lettura del Cristianesimo che mi intirizzisce e quasi mi annichilisce: quasi a far cader le braccia.

Sentir parlare a iosa di prove di coraggio e di pazienza, di sopportazione, perinde ac cadaver "quasi come corpo morto caddi" (e chi è che non sia costretto ad affrontarne di prove, del resto? ). E dover apprendere, contestualmente, che alla prova si risponde con una sorta di pazienza: stoica però, appunto.

Ma "romanus sum, non ciceronianus"; cristiano e uomo, non stoico - ribatto.

Ai genitori cui la malattia o la guerra strappano i figli, la fiducia; ai derelitti e ai disperati cui viene sottratta la speranza; ai vecchi e ai vinti cui viene tolto l'onore; a tutti gli uomini di buona volontà cui viene man mano erosa la possibilità di esercitarla; a chi cerca Dio, la verità, la pietà, la giustizia (ve ne sarà pure, a questo mondo!) cui viene impedito il passo con ogni genere di transennamenti che ne regolamentano i flussi: a tutti costoro viene indicato un'immobilità eroica: "canta e resisti"; ergendo il simbolo della croce, "è questa la vostra speranza".

E' il paradosso dello Stoico che è invitato ad essere un uomo senza reazione, un uomo senza cuore e senza voce, uno "stilita". Piova o meno, tu sei là, impassibile: teologia del silenzio e della mortificazione; specie quella altrui.

Non è così; non tutto qui: ne sono certo; e l'ingiustizia ha parimenti il diritto di essere combattuta; la superbia di essere scongiurata e denunciata; l'imbroglio e l'ipocrisia di essere sventati.

E' per questo che "rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento" - dice Paolo, scrivendo a Timoteo.

E la nostra forza non è stoica "incapacità" di sentire alcun dolore (Cristo lo conobbe il soffrire); ma capacità piena, questa sì, di sentirsene parte, ovunque questo dolore venga inflitto e questo male perpetrato.

La nostra forza è a fianco di tutta la debolezza di questo mondo che chiede giustizia e ragione; allo stesso modo in cui è bestemmia e violenza, ogni silenzio di fronte al male. Lo è l'indifferenza infine, il non sentirsi chiamati in causa, piuttosto che l'essere arrendevoli al male: "Signore, liberaci dal male".

Il paradosso dello stoico - per rifarmi alla matrice ciceroniana - è il paradosso dell'aristocratico "non sentire": quello è un superuomo; quest'altro, un uomo come tutti, un povero Cristo.

Non questo ci viene chiesto dunque: non di abdicare al nostro essere uomini e senzienti, sensibili e talora impotenti; perché questa è davvero del genere di quella "superbia spirituale", da cui una volta ci insegnavano di stare in guardia i nostri vecchi preti.

All'uomo non è chiesto di staccare orecchi a chi viene a fare del male, ma di dire "hanno preso un innocente". Il suo sangue ricade su tutti noi: e questo ci chiama tutti in causa, senza essere stoici.

Obbedienti al bene e non passivi di fronte alla violenza banale di ogni male.

"Non piegare il mio cuore al male, a compiere azioni criminose con i malfattori: che io non gusti i loro cibi deliziosi - recita il salmo 140 - Mi percuota il giusto e il fedele mi corregga, l'olio del malvagio non profumi la mia testa, tra le loro malvagità continui la mia preghiera".

Ed è questa la perseveranza che viene chiesta a ciascuno di noi, non impassibile ma pietosa, capace di continuare a rivendicare diritti per chi non ne ha, in questo mondo, non ad invitare a rassegnarsi a non averne mai, non qui almeno, su questa terra.

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