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Come il filosofo del calcio

Pubblicato da Enzo Cilento su 18 Aprile 2015, 08:37am

Tags: #un altro sport

Non mi tranquillizza la dichiarazione rilasciata dal presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, in merito all’aggressione ultrà di cui sarebbero stati fatti oggetto ieri i giocatori di casa, minimizzando: "Una trentina di tifosi ha cominciato a contestare, a urlare e a chiedere di parlare con i giocatori. C'è stato un confronto molto duro, ma senza contatti fisici".

Non perché l’episodio sia un unicum nell’ambiente: in fondo, appena otto giorni prima lo stesso avevano fatto quelli dell’Atalanta, a Bergamo, che pure non sono notoriamente dei santi; e appena qualche settimana fa lo stesso era avvenuto alla Roma: tutti sotto la curva a spiegarsi.

Che il calcio fosse ostaggio di certe cose (ve la ricordate la finale di Coppa Italia con Ciro la carogna ad arringare la folla?), lo sapevamo: e mi ricordo il coro di protesta un po’ ipocrita quando Fabio Capello, nel frattempo emigrato all’estero, la cosa l’aveva detta, a modo suo, cioè a brutto muso: “siamo ostaggi di certa gente”.

E pensare che proprio ieri pensavo al Cagliari del filosofo Manlio Scopigno da Rieti, allenatore e libero pensatore che ai suoi (altri tempi!) permetteva libertà impensabili per il tempo: le sigarette e le serate un po’ brave di Albertosi, Gigi Riva e Domenghini; sempre tenendosi sul filo dell’autoironia; e senza mai prendersi troppo sul serio.

Era una sorta di repubblica corinthiana, insomma, quella che si sarebbe affermata soprattutto con Socrates, buonanima, al Corinthians appunto, Brasile, un decennio dopo; e che avrebbe fatto dell’affabulatore bevitore di birra, o doutor (il dottore), il vero premier sindacale del gruppo, faccia e ideologia vagamente ispirata al Che e ai contemporanei ideologi della teologia della liberazione: la pace e l’eguaglianza comincia in terra prima di proseguire in cielo.

Sia Socrates de Sampaio Sousa de Oliveira che Scopigno Manlio immagino che nei cieli abbiano avuto modo di verificare le loro intuizioni che erano più raffinate persino dei colpi di tacco del brasiliano, pezzo preferito del suo repertorio; che delle conclusioni un po’ lapalissiane del mago del Cagliari scudetto, beffardo uomo di mondo insomma.

Quella dimensione era preferibile a questa così stressante e responsabilizzante, oggi così in voga. Ci ricorda così, liberamente, quello che diceva un altro uomo d’altri tempi, Osvaldo Bagnoli, ai suoi, in tema di tattica: la migliore è quella di giocare come si sa e come viene.

O come quella di altri arguti gentiluomini, Liedholm tra i tanti, che raccontava di non aver mai sbagliato un passaggio in vita sua e che quella volta che gli era accaduto dagli spalti si era levato un “oooh” di stupore tra gli spettatori, una boutade come un’altra: celebre quella per cui in dieci si gioca meglio che in undici; mentre per Boskov il gol era quello che arbitro fischiava: punto!

Un bel salto all’indietro ce la ha fatto compiere giorni fa il Parma (fallito) che si allena al Parco della Cittadella nel cuore della città, tra la gente, tra uno stand e un banco di salsicce, piadine e culatello.

Non male se fosse così sempre, senza processi ed aggressioni e onore alla maglia calpestato, manco fosse la sacra sindone!

Quando ero ragazzino (trent’anni fa, mica un secolo fa!) davanti allo stadio di serie A compravamo il panino con broccoli e salsiccia aspettando l’ennesima dichiarazione del pur discusso Sibilia che all’amalgama che mancava, come i risultati, replicò: “e cosa aspettiamo a comprarlo?”.

E’ di quel buonumore che abbiamo bisogno per tornare allo stadio e al calcio: non delle sentenze e dei processi pubblici con tanto di scuse e di genuflessioni.

I processi lasciamoli a Travaglio, a Ballarò, finchè dura; persino a Vespa, con il suo plastico di prassi e con la bacchetta del professore.

Noi vogliamo il bonario filosofo del nulla e la democrazia corinthiana al potere: per sempre. Per questa vita che rotola via come una palla, ballonzolando sulla linea di porta. Sarà gol?

Solo l’occhio di falco ce lo dirà.

E in fondo a noi va bene anche senza…

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