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Verità va cercando

Pubblicato da enzo cilento su 17 Settembre 2014, 08:21am

Tags: #I PADRI

Vado un po’ a ruota libera, stamani, libero …

C’è un dovere - credo - che abbiamo verso noi stessi, prima di tutto, e poi verso gli altri, specie se ci leggono: è quello nei confronti dell’onestà: chiamiamola pur “solo” “onestà intellettuale”, se si vuole.

Mi spiego. Leggevo ieri appunto una breve risposta risentita comparsa su Avvenire, a firma Pier Giorgio Liverani, al pezzo di Ceronetti già più volte citato anche su queste pagine. Vista l’eco, “il provocatore” ha fatto centro …

La reazione del cattolico (?) Liverani, a mio avviso contravviene a questa regola prima, negando che esista anche un solo remoto segnale che indichi un tramonto del cristianesimo incipiente, anzi ironizzando.

Mi fa gioco quel passo di Paolo e la sua lettera ai Corinzi letta appena stamani, “l’elogio della carità”, considerata il più grande dei carismi. Ivi, per quanto sottaciuta e sottovalutata è indicata in primis una carità nella verità che è ugualmente imprescindibile (“non gode dell’ingiustizia ma si rallegra nella verità” – il passo).

Ora, è vero che un uomo di fede deve essere ottimista – lo è per definizione – ma non deve negare quanto vede, se vede: sarebbe uno stolto.

E le nostre chiese vuote in gran parte – dico - il nostro piccolo mondo antico è davvero così poco cristiano ormai. Di questa cultura insomma, questa civiltà sembra saper fare a meno ottimamente. V’è qualche dubbio?

Certo, bisognerebbe poi chiedersi cosa sia cristiano e cosa non lo sia (si va troppo oltre, temo): e non è detto che quello che caratterizzava una società cristianizzata, ieri, fosse davvero nel segno del Vangelo;

tanto che forse a ragione molti valori sono più radicati oggi – da questa parte del mondo – che non secoli addietro, quando ci si ammazzava e si faceva la guerra sotto l’egida della Croce. Stiamo generalizzando, ci mancherebbe!

Ciò nondimeno negare ciò che accade (che si faccia ogni tanto un giro in questo mondo, quello degli altri, fuori dai nostri angusti confini!); negare che c’è un rischio di estinzione e di marginalizzazione è fuori posto.

Si tratta di quello stesso atteggiamento che assume chi intendesse negare anche a sé stesso di essere malato, contro tutti i rilievi diagnostici: ce n’è in giro, ce n’è ... Non è così che si fa un favore alla nostra fede; neppure alla nostra Chiesa.

Di croce – non quelle sugli scudi - ad ogni modo oggi vale la pena parlare per un’altra ragione. Scopro che si ricorda il 17 di settembre “la comparsa” delle stimmate sul corpo di Francesco d’Assisi, storia raccontata con garbo tutto duecentesco da Bonaventura da Bagnoregio (sarebbe bello rileggerle certe cose, come la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine o altro).

Da ragazzo, una delle mie prime scorribande fuori porta ebbe come scenario proprio quello de La Verna, dove sarebbe avvenuto il prodigio.

Ne ricordo ancora l’incanto, pur non essendoci mai più stato da allora: ma vi tornerò; mentre di Bagnoregio ho visto il borgo anche di recente, in Tuscia, nella terra dei calanchi, “la città che muore” la chiamavano prima che vi approdassero gli americani (l’han comprata tutta) e prima che divenisse la “location” per lo spot di una famosa marmellata che ci viene spesso propinato, com’è d’uopo, all’ora giusta, con tanta frutta a pezzi interi: siete smascherati, vecchi maghi della pubblicità!

Bonaventura (è suo “Itinerarium mentis in Deum”) è uno dei primi grandi intellettuali di scuola francescana.

La sua dotta scienza (studiò a Parigi e poi divenne cardinale) non piacque a molti che credettero di dover seguire tout court la semplicità del fondatore.

“Non basta l’indagine senza la meraviglia – scrisse Bonaventura – non basta l’industriosità senza la pietà; la scienza senza la carità; l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia”. Appunto: la carità non basta senza verità.

Non è neppure carità, io temo.

Vedo un cielo settembrino stamani: non so nemmeno cosa sia a farmelo definire come tale: come se fosse d’un tratto più profondo, questo sì, come il turchino dell’alba stamattina, come un cielo – credo – d’Oriente, quello della carta stellata sui nostri presepi.

Mi piace pensare a tutte le nuove avventure che promette: ai viaggi, alle scommesse, alle terre lontane, all’imprevisto cui si va incontro, come un viandante e come un marinaio.

Non ci fa paura andargli incontro all’avvenire – ecco. Molto più saggio che negarlo, con tutte le sue difficoltà…

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