"Siamo ben pagati per farci del male" - è vero - possono dire calciatori ed atleti che alla vigilia di un evento mondiale si rompono e danno forfait.
Non siamo invece ben pagati noialtri, per venir meno all'appuntamento della vita. Giorni fa ne sentivo discutere distrattamente alla radio: argomento "Quella volta che..." Si trattava della sagra del rimpianto...
Detto che per un giovane calciatore (nella fattispecie Riccardo Montolivo, ieri sera) che si fa male prima di partire per i Mondiali di calcio; siamo un miliardo di uomini che ci romperemmo volentieri ad ogni vigilia di Mondiali pur di vivere la vita dorata di queste star dello sport (benefit etc...) - ma questa sarebbe davvero la battuta e la sagra del qualunquismo (io la vita della star non so se la farei così volentieri); va ribadito che della Sagre dei Rimpianti (perché non inventarne una?) potremmo riempire le cronache di tutti i giorni. E comunque i rimpianti fan male: altro che.
Se ne può restare vittime e schiavi, oltretutto, per tutta la vita.
Il rimpianto è spesso il più grande alibi che la sorte possa offrirci oltretutto per farci sentire vittime innocenti e predestinate per non sai ben quale gioco del destino. Più forte del rimpianto dovrebbe essere la nostra forza d'animo però; le motivazioni per non cascarci dentro da grulli.
"Se non avessi incontrato te, quella donna, quel lavoro, quella situazione; chissà cosa non avrei fatto". E via che si snocciola il gioco a buon mercato "dell'avrei potuto, se solo non fosse andata così".
E' che invece bisogna aver fede nelle cose che desideriamo, se davvero riteniamo che valgano la nostra vita, i nostri sacrifici, anche l'osso del collo - per tornare alla metafora sportiva da cui siamo partiti.
Avere fede che più degli ostacoli e dei rimpianti\alibi possono le ragioni del nostro vivere e del nostro operare: facciamo della nostra vita una cosa bella.
Ci metterò (non: ci "metterei") un po' di amici veri da incontrare: non un ipotetico amico, ma quell'amico con nome e cognome che ho conosciuto e incontrato, che non sento da un po', che amo.
Ci metto un bel viaggio, domani; una vita nuova, un casale in affitto e un lavoro, qui e subito, da questo momento stesso; una bel libro e una pausa davanti al caffè, qui ed ora; un bel film stasera e poi ancora una passeggiata al mare, un po' di sole, delle scarpe di ginnastica e un dialogo con la parte più profonda di me, con un Assoluto che si fa presente subito, adesso, perché lo sto cercando e gli sto parlando.
Il mio Mondiale è questo.
Sono sicuro che questa felicità - ora - questa pienezza, si farà evidente, si farà generosa, condivisibile, capace di gesti umani, da questo momento stesso: faccio la cosa bella, faccio la cosa giusta; faccio la cosa buona, fin d'ora.
Non è vero che tra il bello e il brutto, il dolore e la gioia vada scelta sempre l'opzione più triste. Non è vero.
E anche ai miei cupi maestri di vita cristiana (non tutti cupi, invero) io dico che lo stesso Cristo - a differenza di quel che sembra - non fece altro che desiderare la cosa che gli sembrò più vera bella e buona. Non si trattò di un'ingiustizia subita e basta. Si trattò di una scelta estetica prima ancora che etica, intendo.
Nessuno può permettersi il lusso di perdere l'occasione della vita. A costo di rimetterci l'osso del collo e neppure solo quello.
Dopotutto, la vita è un'occasione unica, o no?