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Risposte a un passo dal deserto

Pubblicato da enzo cilento su 12 Aprile 2014, 06:06am

Tags: #in vista

Dal momento che volevano ucciderlo e che c’era chi temeva che troppi prodigi stesse compiendo al punto da renderlo credibile agli occhi dei più, si ritirò in una regione vicina al deserto con i suoi discepoli, in una città chiamata Efraim.

E’ così che Giovanni ci prepara e alla festa della Pasqua e alla Crocifissione alla morte di colui che morrà per tutti – come rileva Caifa – per tutti quelli che rischiano di mettere in dubbio potere costituito e potere degli uomini, potere dell’Impero e potere sacerdotale, quello di Cesare e quello di Dio (non è casuale che tante letture in questi giorni, cfr. Ebrei, parlano del sacerdozio secondo la legge e di questo nuovo sacerdozio, non più secondo il privilegio di Levi).

Ma non di esegesi si vuol parlare.

Primum vivere, deinde philosophari – dicevano una volta.

E vivere in questo caso, significa registrare l’eterna dinamica del mondo in cui, chi detiene un diritto ritiene di doverlo difendere con ogni mezzo, non aprendosi alla vita e allo spirito, alla varietà e alle novità, per cui ne rivendica l’esclusiva.

Morire si può, a nome di tutti dunque, di chi è fuori dalle regole del gioco; di chi non accampa che il solo diritto di essere stato generato e chiamato ad essere dal padre per un ruolo che può essere di salvatore e di consolatore del mondo: ognuno di noi a suo modo lo è, anche se ora – mentre scrivo – sento la voce disperata dei malati di mente che dormono qui sotto i portici e che mi fanno chiedere come sia possibile credere che tutto sia vero di fronte a questa tristezza, a questo urlo disperato.

V’è che talora ci venga chiesto di uscire dal coro e di allontanarci dalla città dove vogliono vederti morto e ritirarti ad un passo dal deserto; che talora siamo noi stessi a voler uccidere altri che si oppongono a noi, per scacciarli;

che forse c’è persino qualcosa in noi che vorremmo eliminare e cancellare perché ci ricorda quel che siamo.

Non siamo sempre gli incompresi e le vittime – dico – siamo non di rado gli aguzzini e i potenti.

Il mondo reitera e riproduce di continuo questa dinamica dunque, la perpetua e noi facciamo parte del gioco: ogni giorno tocca interrogarci da quale parte siamo.

Se siamo arroccati minacciosi o se invece abbiamo scelto di appartarci dal gioco del potere con quelli come noi, perché del potere non subiamo alcun fascino.

Siamo simboli di liberazione o simboli trionfalistici di un regime?

Le voci sotto i portici si sono placate ma la risposta non viene lo stesso.

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