Vorremmo raccontare una storia stasera come ce ne sono tante: senza malinconia, se ci si riesce.
Io del resto non c'ero quegli anni là.
So però che si tratta di una storia vera ed esemplare e che potrebbe essere trasmessa ad altre umane parabole simili: senza rimpianti. Si sale e si scende; si compare e si sparisce, almeno per un po'. Mentre gli anni del vigore fisico quelli vengono una volta sola, quando si è a tempo per essere atleti e pantere.
Le pantere nere correvano negli stadi di Città del Messico e mostravano il segno del pugno "Black power". Poi, il potere - si sa - logora anche chi ce l'ha. E quel potere nero si è imborghesito un po', normalizzato, dietro l'adipe e il cibo spazzatura dei neri d'America, obesi e apparentemente sazi.
In quell'era di pantere, quando anche le macchine della polizia italiana erano dette "la pantera"; in Angola e in Portogallo compariva la "pantera nera", al secolo nota come "Eusebio, Eusebio da Silva".
Io non c'ero e non ricordo. Tutti però favoleggiano della risposta europea a o rey do Brasil che si chiamava Pelé; mentre il destino della Pantera si incrociava insieme al suo Benfica a quello della grande Inter di Sarti Burgnich Facchetti e al Brasile verde-oro; per non dire della Germania di Uwe Seeler e dell'unica vittoria mondiale dell'Inghilterra del calcio: anno 1966, per il quale, Venditti inventò i versi "la regina d'Inghilterra era Pelé.
Ma non è eminentemente di calcio che volevo dire; ché del resto non ricordo le acrobazie di Eusebio i suoi gol e neppure i Mondiali di allora. Volevo dire invece delle parabole e del successo e della decadenza fisica, prassi inevitabile per chiunque.
Di Puma e pantere, tigri, avvoltoi e cobra sono pieni i giornali sportivi che così soprannominavano gli eroi dello stadio così come un tempo i gladiatori. Volevo dire che quando - come oggi - un felino tira le cuoia non si riesce a fare a meno di pensare: al vincitore nel gioco del pallone del poeta; al portiere solitario di Saba; alle copertine e ai titoli.
Restano i filmati e qualche sopravvissuto.
Eusebio vinse un pallone d'oro, segnò 42 gol in un solo anno; fu il capocannoniere del Mondiale in terra di Albione. Come Cassius Clay, è capitato di rivederlo malfermo sulle gambe e tremolante. Come certi vecchi attori che ricordiamo bellissimi e prestanti da giovani; che vanno a ritirare il premio alla carriera, David o Oscar che sia; come tutte le vecchie glorie piene di polvere che mostrano tutte le grinze di una vigoria e di un'eternità che non appare in video e neppure in volto, non possono che farci buttar giù qualche lacrima: al pensiero che "si fugge tuttavia... e del doman non c'è certezza".
Eusebio, la pantera non salta più qua, felina; sarà da un'altra parte a rivedere il proprio mito.