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Gelosi da morire

Pubblicato da enzo su 1 Marzo 2013, 05:58am

Ci si potrebbe non credere, ma ancora una volta questa mattina, leggendo i brani proposti dalla Liturgia dela Parola, accade che questi sembrino essere la risposta a quanto ieri ci eravamo chiesti. Non accampo nessuna pretesa profetica, sia chiaro: vero semmai è che la Scrittura costituisce sempre un tesoro ineguagliabile a tutto quanto costituisce il vissuto dell'uomo, giorno dopo giorno, e che quindi gli aprono il cuore e la mente; e che pertanto, seguendola, appunto un giorno dopo l'altro, in certo modo essa suggerisce prepara e anticipa già quello che emergerà a breve nella nostra coscienza, interpellandola più o meno direttamente su quelli che sono i suoi enigmi e forse i suoi punti dolenti. Già solo da questa punto di vista quindi la Scrittura diventa profetica per ciascuno di noi, e con essa lo è la Chiesa che la proclama.

Fateci caso: ieri sera intitolavamo il pezzo "fratelli separati" e oggi si narra della gelosia dei fratelli nei confronti di Giuseppe, venduto poi puntualmente ai mercanti nel deserto; mentre il Vangelo, di suo, presenta il passo del padrone della vigna e del relativo omicidio del Figlio che egli manda.

Del resto il tema della gelosia, nell'esperienza umana è scottante. Ovunque ci siano due o più uomini assieme, dalla famiglia alla sede di lavoro, il rischio della divisione, della contrapposizione sorge immediatamente e si propone con forza.

Ho lavorato a scuola, al giornale, a teatro. Non c'è stato ambito in cui questo terribile sentimento non sia emerso. L'uomo si paragona con il suo simile e soprattutto rivendica per sè un amore simile a quello che gli sembra ricevano gli altri, mentre anche l'amore non chiama in causa che prima di tutto la libertà.

Non si ama di più perchè ci venga imposto e ai sentimenti non possiamo imporre nemmeno la nostra giustizia ed il nostro metro. Goethe le chiamerebbe le affinità elettive, che fanno sì che si scelga nell'amore chi è più vicino al nostro sentire (e non è detto che sia sempre così). E se l'elezione è sempre una scelta, talora anche mal riposta, la scelta avviene sempre a partire da una sorta di libertà.

Lasciamo dunque che gli altri siano liberi di amare più fortemente chi sentono di poter amare in nome di questa selezione elettiva, anche se certo l'amore cristiano segna un salto di qualità, dal momento che ci invita ad amare anche chi non ci ama e quindi non sente questa affinità.

Il non vivere questa gelosia io trovo che sia la prima vera ed essenziale forma di amore, dal momento che non siamo gelosi di quella stessa affinità relazionale che genera l'amore tra altri che non siano noi: ne prendiamo atto; non ci ribelliamo realisticamente a quanto vediamo e amiamo a tal punto l'altro da volere che l'amore determinato dall'affinità non sia sporcato dal rancore della nostra gelosia.

Dovremmo sempre desiderare che gli altri si amassero e fossero amati perchè hanno trovato dentro un altro questa familiarità, al punto di farli crescere in un amore più grande anche della sola affinità, perchè l'amore infine libera persino dalla dipendenza dalla sola affinità e quindi augurare a ciascuno di amare oltre il proprio istinto e la propria naturale inclinazione verso l'uno piuttosto che verso un altro: ma forse questo è davvero innaturale e richiede una purificazione estrema, fors'anche irreale.

L'amore per certi versi può persino apparire ingiusto, secondo questa logica, perchè non è egualitario: è selettivo; per quanto mi chieda se all'amore di Dio forse noi stessi non rispondiamo con una libertà che ci rende capaci di scegliere se essere amati e quindi eletti o invece con una chiusura che diviene esclusione.

Ci si può amare, peraltro, solo riconoscendo le differenze e quindi l'altro da sè; si ama davvero solo se si amano le differenze altrui come espressione di un'alterità e non di una replicazione del proprio io; si ama infine la libertà dell'altro e quindi il suo diritto ad essere quella differenza che ci invita all'analogia o al confronto. Senza pretendere.

Ma i gelosi popolano tutte le pagine della Bibbia. Era geloso Caino; lo sono i fratelli di Giuseppe; lo diventano gli apostoli di fronte alle pretese della madre di Giacomo e Giovanni; lo è il fratello del figliol prodigo.

Lo è l'attore che invidia il successo del collega, il giornalista che fa altrettanto, il vicino di casa, l'amico, il compagno di scuola.

La gelosia è ciò che divide e, nella sua stessa radice etimologica, lo è chi divide per eccellenza, il diavolo, il cui nome significa appunto divisione. Egli separa da Dio, cioè dalla nostra stessa famiglia, dalla nostra stessa casa, ci si nasconde come Adamo ed Eva dal padre che li cerca "Adamo dove sei?".

L'unità del resto per essere vera non va imposta ma va cercata quindi richiesta.

Ciò che unisce infine non è allora la stessa affinità di cui prima ma la libertà, ognuno con la propria dignità, il suo senso, i suoi talenti.

Solo riconoscendo a se stesso infine pari dignità si smette di competere egoisticamente sulla discrezionalità assoluta di essere amati.

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