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Lobby e bene comune

Pubblicato da enzo cilento su 2 Marzo 2013, 19:01pm

Riflettevo poco fa sul concetto di bene comune a cui siamo abituati (forse meglio dire disabituati...). E' in nome del bene comune che si può decidere di intervenire nella cosa pubblica (che appunto non è privata e riguarda tutti, quindi bene comune); impegnarsi nel sociale, nel welfare, nel fare politica, nel consentire alla politica di essere vissuta e sentita come un bene di tutti, più che solo come una competenza stretta di pochi.

Vero che la politica oggi è quasi solo perizia in materia di politica economica (o almeno così ci si vuol far credere) e che in siffatti mari è bene navigare solo se attrezzati per bene e con un know how minimo (cioè con le conoscenze macroeconomiche e microeconomiche che sono forse irrinunciabili, anche se poi ogni poltico che si rispetti ha uno staff di esperti, a meno che non si diverta a fare l'apprendista stregone e il tuttologo).

Vero è pure che la sola economia non può essere l'unico termine di riferimento in tema di bene comune; e non solo perchè parliamo anche di welfare (ma per questo occorrono fondi); di cultura (idem); infine direi di valori, rispetto per l'altro, non minimalizzazione delle attese umane al puro ambito materialistico.

Forse il bene comune parte da un concetto diverso del rispetto della persona: ogni persona, sana o malata; ogni vita è degna di rispetto; ogni realtà è una chiamata ad essere e ad esistere e anche qui ritengo che la religione abbia parecchio da indicare e insegnare (e badate che non parlo neppure solo di religione cristiana ma di dimensione antropologica: l'essere religioso maturo accompagna sempre l'essere civile, mentre non sempre chi si ritiene civile rispetta questo aspetto fondante dell'uomo, quella della religiosità e della spiritualità. Nè la fede si risolve in questi soli due ambiti peraltro).

Ma torniamo al bene comune: la spesa per la politica, che molti ipocritamente dicevano di ignorare negli anni prima di Tangentopoli, quelli per la vita e la gestione dei partiti, è una spesa che - posta sotto controllo - non può essere evitata. E direi di più: che mai avvenga che i costi della politica siano affrontabili solo da grossi gruppi finanziari e di potere (il che già avviene) perchè questo determina e che il cittadino non ha gli stessi diritti e che la plutocrazia, negata per un verso, si afferma più subdolamente per un altro, perchè addirittura vincitrice alle urne (e questo andrebbe affrontato con la vecchia proposta di legge contro il conflitto di interessi).

Non è un bene comune che alla politica i partiti possano attingere a fonti che siano coinvolte in questi conflitti e che quindi si crei una disparità di partenza, benchè non si capisce se davvero esistano soggetti puri a cui dover attingere in alternativa al finanziamento pubblico, perchè chiunque avrebbe del resto interessi in essere e conflitti potenziali in materia di appalti, di finanziamenti, di investimenti, di gestione. Dove risiede in tal caso il bene comune? In una sorveglianza sui costi e sui finanziamenti destinati alla politica (pubblici?) e in un tetto di spesa da imporre a chiunque?

L'argomento non è del resto così ozioso se vi andate a rileggere i dati di questi giorni in merito ai rimborsi elettorali (159 milioni contro i 407 del 2008 più i co-finanziamenti che spettano a coloro che non sono riusciti nell'impresa di eleggere alcun parlamentare in questa tornata elettorale).

E' bene chiedersi:è legittimo che costoro accedano ai rimborsi o non sarebbe un male non consentirglielo dal momento che solo il consenso comporterebbe in tal caso un premio, mentre ogni minoranza si vedrebbe discriminata e impossibiltata a manifestarsi proprio per il fatto di essere tale?

L'obiezione non è del tutto fuori luogo in una società in cui peraltro le minoranze (e quella cristiana rischia di diventarlo: nella scuola lo è già, e anche nella sanità) sono sempre più numerose e quindi forse sempre meno difese e rappresentate, tanto che la politica è sempre più maggioritaria per così dire, a discapito di ogni diversità.

Nè del resto ogni diversità può essere ricondotta al bene comune, laddove valori come quelli della vita, del rispetto, della salute, non possono essere oggetto di messa in discussione di nessuna minoranza (faccio il caso dei gruppi a difesa della pedofilia) dal momento che è evidente che non costituisce diritto e bene comune ciò che si ritorce contro i diritti essenziali di altri (minori etc).

E' al bene comune invece e neppure solo a quello della Chiesa che ha fatto infine riferimento Benedetto XVI giustificando le sue dimissioni: le mie energie non sono più adeguate al bene della barca di Pietro (ma io direi a tutti coloro cui la barca di Pietro si deve rivolgere: il mondo intero). Ed è per questo che ha colpito non poco l'immaginario collettivo questa ritiro, inutile nasconderselo.

Perchè o il bene comune coincide con una logica di servizio che non esclude aprioristicamente nessuno, oppure il bene non è comune, diventa privatistico, corporativo, egoistico, individualistico.

Mi ha colpito, sempre nella tornata elettorale appena conclusa, il continuo riferimento dei candidati e delle liste alle categorie professionali di appartenenza: l'avvocato a gridare la sua intenzione di difendere i diritti della categoria; così i medici, gli insegnanti, persino gli sportivi, dimenticando che i diritti e il bene di cui sopra non sono categoriali e corporativi ma relativi ad una unità, ad un corpo, quello del Paese, di cui ognuno è parte. Altrimenti la propria missione non è più politica ma di parte; corporativa. E lo stesso sforzo finanziario a quel punto non si capisce perchè dovrebbe essere del sistema paese invece che della sola corporazione di appartenenza dei cui soli diritti il candidato promette di prendersi cura. Ma credo che si tornerebbe indietro di un millennio di storia...

Così come allo stesso modo, seguendo la stessa logica, un candidato che puntasse solo e deliberatamente agli interessi della sua fazione e del suo angusto territorio (il Nord per esempio) non si capisce perchè non dovrebbe essere finanziato solo dalla sua fazione.

Ma questo non è bene comune, appunto: si chiama lobby.

Ed è forse questo lo stato delle cose nella politica moderna. Sono le lobby a farla: niente da aggiungere.

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