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La prospettiva del tetto

Pubblicato da Enzo Cilento su 1 Luglio 2015, 09:03am

Tags: #Lo spirito del viaggio

Adoro guardare i tetti dal balcone di casa mia: son tutte tegole un po’ consunte e sbiadite. Mi sembra una preghiera in volo, una sorpresa.

Non sopporto quelle tegole nuove invece, rosse, troppo e senza vita, di certe finte villette di campagna.

Su queste invece si è posato il tempo – è chiaro - e crescono le erbacce, ora secche per il caldo. E migliaia di uccelli, di passeri, a stormire a passeggiare, a spiare dentro la finestra in cui c’è uno che li spia.

Credo che mi mancherà questa prospettiva in volo, altrove.

Che vorrei vagabondare anch’io sul tetto e zompettare; sarei l’uomo più felice del mondo, vicino a Dio, azzardo, in volo.

Mi piacciono insomma questi muri vecchi e le ferite, le pietre che sporgono da esse. Penso alla mia anima montanara, che quando sono in treno guardo sempre sulle cime se c’è la nube che si ferma e che mi guida, se è nascosta un po’ e chissà cosa c’è dentro; se vi pascolano dentro gli stambecchi e se dietro una torre, anche un vecchio maniero dove non sono mai stato, se non col pensiero.

Viaggiavo così e fantasticavo già da ragazzo e mi piacevano le gole, sempre una sorpresa, anche solo quando passavo nella valle dell’Irno, credo, prima di Salerno, lasciando casa; o come mi capita ora se attraverso l’Appennino e vedo il verde lasciato agli animali e dove gli uomini non si spingono ad andare, se non di rado, e mai per caso.

Anni fa, dalla Badia di Cava, dove per un po’ ho insegnato latino, mi ricordo una levata la mattina, per salire tra le creste a strapiombo, fino ad un santuario, non proprio vicino.

E ogni pietra, come quelle dei muri della chiesa qui di fronte, portava il segno del tempo e dell’immensità di questo spazio. C’è da giurarci che l’Assoluto si mette in cammino ogni volta che ci muoviamo; ogni volta che si riaccende la nostra storia di viandanti che non sanno esser sedentari, perché il senso non è mai qui ed ora: è sempre oltre. E per noi la vita è non posare se non per riprendere e continuare. Devo levare lo sguardo, senza superbia alcuna; dobbiamo farlo. Devo trovare dove si posa ora la nube, ora; e dove spinge questo fuoco che, uomini che vanno verso, sentono che c’è un’America del cuore e dello spirito che ci attende.

La nostra America è sui tetti e sulle creste insomma, su nelle gole e vicino ai manieri, sulle torri, dove ci sono uccelli ed aquile ad ali aperte.

A loro basta poco per sopravvivere: come a noi, da quando abbiamo ripreso a guardare in alto, oltre il finestrino. Mentre c’è chi ci guarda dentro e ce lo dice: “perché non riprovare a volare?”.

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