Io ho insegnato i primi passi a Efraim, me lo prendevo sulle braccia; con legami pieni di amore lo attiravo a me, con vincoli amorosi; per lui ero un liberatore, mi piegavo su di lui per dargli il cibo
(Osea 11,3-4).
Non va coniugato al passato questo incontro, però. Io non sono stato preso sulle braccia una volta e mai più: nessuno di noi lo è stato. E il liberatore continua a liberarci sempre: può farlo se solo non ne perdiamo il ricordo. Chiediti: “Perché sei qui?”
E’ questa la memoria che va rinnovata, dico; la memoria grazie alla quale la mia, la nostra vita non va tradita. Come quando è cominciata la liberazione. Come quando abbiamo cominciato a muoverci fuori dal nostro Egitto.
Lo so che la retorica sembra dietro l’angolo, come tutte le frasi fatti e i luoghi comuni: sembra tutto un “già detto”. Eppure quel viaggio di libertà è cominciato e non è finito e ci spinge ancora oltre: so, io sento che c’è un disegno ed un cammino verso il quale muoversi: ancora, ancora; nonn avere paura.
Mi muovo insomma e non guardo troppo indietro: quando l’ho fatto mi sono perso per un po’ la strada.
Rileggo il libro dei Numeri in questi giorni e quell’epopea di cammino nel deserto e verso Canaan mi corrisponde appieno: è la storia di ogni uomo che scopre la liberazione.
Solo a questo corrisponde il nostro progetto, il suo: siamo uomini di frontiera.
Ci propongono di fermarci – è vero - e di normalizzarci; e noi invece mordiamo il freno, scalpitando.
Nulla di male che ci propongano una casa tra le altre ed un lavoro, realtà rispettabilissime peraltro. Perché non vivere come fan tutti? Perché c’è altro che ci chiama. E’ tutto qui.
E’ già bello questo tempo passato così e non è facile spiegarlo. So che se cammino, quando cammino come stamani solo e nel silenzio, nella campagna e nel vuoto, non mi manca nulla: che non posso non pensare che a ciò che amo.
Sto provando a costruire questo, tra mille ostacoli anche logistici ed organizzativi. Non perché abbia a noia l’uomo.
E’ che c’è un’altra dimensione ormai che m’ha conquistato. Canticchio a volte, quando sono più leggero, una vecchia canzone che sentivo cantare da mia mamma “tu che m’hai preso il cuor” faceva; e penso che in fondo è solo amore.
Che male c’è? – mi chiedo.