Overblog
Edit post Segui questo blog Administration + Create my blog

simeone.overblog.com

simeone.overblog.com


Finchè sia

Pubblicato da Enzo Cilento su 21 Giugno 2015, 09:13am

Tags: #in vista

Mi sono affannato troppo, con troppa angoscia, temo. Forse, con pochissima fiducia nelle cose. E temo, anche nel Padreterno.

Ora – lo ammetto – sono vinto; e avverto tutta la stanchezza di questi anni trascorsi (e un po’ sprecati) a dover dimostrare. E’ una strana sensazione quella che avverto, per la prima volta dopo tanto tempo. E’ come una strana pace silenzio: che se non è rassegnazione, spero che sia fiducia. Quello che sarà, sarà.

E se sembra che Dio dorma, evidentemente si tratta solo di una mia sensazione. E’ all’opera magari, ora soprattutto che non posso che abbandonarmi. Certo che è sempre così sottile il confine tra il rassegnarsi appunto e aver fiducia (“sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre” – recita il Salmo); e confidare può diventare un alibi persino per non darsi più da fare. Dopodiché, anche la stanchezza è legittima: ci mancherebbe!

Forse siamo chiamati a costruirla anche noi la giustizia – mi dico - e con essa, una società migliore: quella che vorremmo. O forse invece è solo perché quello che sogno e che desidero, non credo davvero per capriccio, sto cercando di costruirlo senza pormi più troppi crucci: senza dover dimostrare che avevo ragione e che l’avevo detto io; che insomma non sta a me (non posso spendere per questo tutte le mie energie) convincere gli altri e il mondo, della bontà delle mie intenzioni.

Posso contare sull’aiuto di Dio – altro non ho - sul suo affetto; e su quello di alcune persone (sono le sue mani dopotutto) che mi amano e che hanno imparato a farlo ancora di più, vedendomi soffrire: soffrire per quel po’ d’amore.

Sì, sono stati anni di tempesta: cinque almeno, gli ultimi.

E i marosi erano enormi. Lui dormiva.

Ora avverto lo stesso svuotamento che provavo un tempo al termine dei miei esami universitari, una vera battaglia campale, alla fine dei quali tornavo a casa per dormire lunghissimi e profondissimi sonni.

Mi sento in questo modo.

O forse questo è il momento della raccolta pacifica, in cui il contadino si può mettere tranquillo in panciolle ad aspettare che tutto fruttifichi. Mah. Forse proprio ora è l’inverno. Ma di lavori contadini del resto non sono esperto.

Forse ci siamo troppo dibattuti e scomposti nel nostro cercare ovunque una conferma ed un’accoglienza, una casa che ci volesse in famiglia, in una famigliola, voglio dire, che ci piacesse; e a cui piacessimo noi.

Troppa ansia, troppo smodata l’attesa; come di quelli che non sono stati accolti quasi mai, mai troppo desiderati, sempre guardati con sospetto invece: per questo e per altro ancora. Perché non sei più un ragazzo, perché occorre obbedienza cieca, qui; perché il tuo passato, mio caro, pesa, come il tuo presente; perché sei un irrequieto, il diavolo e la tentazione che ritorna; perché hai detto e fatto; perché sei stato in tv; perché sei uno che sappiamo da dove viene, un figlio del sospetto, uno già noto.

Quante volte ce lo siamo detti. E quante ce lo siamo fatto dire. Ora basta.

Il tempo degli esami per essere ammessi è terminato. E’ tempo di pace, checché accada fuori, checché ci vogliano dire. Da qui questa stanchezza e questo silenzio, questo voler dire, finalmente, ora.

E’ quello che cerco di far capire anche al mio amico Michele che vive la stessa trafila adesso.

Ora lasciamo cadere questo bisogno che non potrà mai essere soddisfatto (è troppo antico, è persino adolescenziale, è quello che viene da una vita così). E prendiamo a vivere per quello di cui abbiamo bisogno: forse anche di essere accolti ed amati, dico, ma senza l’ansia che questo avvenga qui e adesso, sempre e da qualche parte, da parte di qualche uomo, di tutti, coram populo e da un istituzione: come se aspettassimo la garanzia del doc sull’etichetta, il plebiscito sulla nostra redenzione: non te lo daranno e non è questo che ci viene chiesto! Non è il tempo dei prosciutti e delle certificazioni.

E’ il tempo invece dell’andare sulle proprie gambe, malferme e stanche, se vuoi; del confidare sul fatto che le bufere si calmano, vivaddio, che saranno calmate.

E che in fin dei conti, è la pace che cerchiamo.

E che infine agli altri – se c’è una ragione per la nostra esistenza anche presso qualcun altro, come testimonianza per quel che serve e che serviamo - si può lasciare solo la speranza che non esiste una tempesta che non possa essere sedata, quando l’ansia si vince per fede e per stanchezza. Che insomma accade, nonostante le nostre vite, nonostante questo infinito incolmabile bisogno adolescenziale che abbiamo coltivato di essere amati accolti accettati da qualcuno che certificasse la bontà del nostro prodotto.

Per questo – mi dico - ci basti la grazia di Dio, il suo amore, la sua intimità, quando tutto è silenzio, quando non devi più convincere nessuno: questa è l’ora.

Parlare con Lui in fondo, la sua amicizia non ha bisogno di autorizzazioni. E il doc non appartiene a Lui.

La verità è che mi sono arreso all’evidenza. Agli uomini, ai più, va lasciata la libertà anche di non credere in noi, di diffidare. E al Padreterno, se crede e come vuole, quella di lavorare in ogni caso, per darci ancora qualche giorno che abbia il gusto di vivere: finché sia.

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti:
Commenta il post

Archivi blog

Social networks

Post recenti