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Il tattoo

Pubblicato da enzo cilento su 19 Luglio 2014, 09:39am

Tags: #la storia

Parlano i nostri corpi, più delle nostre parole, parlano di noi.

Parlano con i segni del tempo e le rughe di espressione, di gioia e di dolore; con i corrucciamenti e le pieghe sulla fronte, in mezzo alle sopracciglia; agli angoli della bocca; all'attaccatura del naso: quante volte abbiamo dovuto arricciarlo!

Parlano i corpi belli e brutti, con i muscoli e con le pieghe sull'addome, sui fianchi; con il dorso turgido o che invece va rilassandosi; con i segni sulle gambe, le cicatrici; e sulle mani. I nostri corpi parlano, anche stando in quiete, per non dire delle loro parole disordinate quando sono in movimento.

Lasciamoli parlare però, perché sono più sinceri e incontrollabili di noi.

Parlano i nostri corpi dunque, in estate, quando non sono incappucciati negli indumenti invernali e, anche se non fossero belli, essi sono noi, una buona parte di noi.

Così, anni fa, in un attimo di impertinenza, mentre volevo raccontarmi, credendo che il corpo da solo, nudo, non riuscisse a farlo; decisi di farmi disegnare su di una spalla gli ingranaggi di un orologio.

Sapevo bene quel che volevo dire: che mi sento come un congegno a orologeria, fatto per durare: un secolo, un anno, un minuto ancora. Chi può dirlo? Un congegno a tempo: ecco tutto.

Che quando l'ora è compiuta, il meccanismo si ferma, come l'orologio del tempo; come quelli che segnano ancora l'ora di Hiroshima e Nagasaki; l'ora, l'ultima di quel congegno.

Sarà stato lo stesso per quell'orologio volante sui cieli di Ucraina due giorni fa...

Ad un tratto, un orologiaio, violento, invia l'ultimo input: prima dello spegnimento di tutti quei motori di trecento viventi di passaggio lassù; ed eccolo qui infatti che l'ingranaggio si ferma, si sgrana: come il fumo all'orizzonte, la nebbia: e tutto svapora.

Una donna, a terra, in quella terra di nessuno, lontana, - mi raccontava ieri, mia cognata - al momento dell'esplosione, ad un tratto, dopo un rumore, come un tuono, si affaccia alla finestra e vede piombare in terra molle e pezzi di orologi umani, raccapriccianti; e poi valigie, borse, giù dal cielo, polvere di vite, come gli ombrelli in un quadro di Magritte.

Mi è capitato di sognarla questa pioggia sinistra questa notte; e di pensare di seguito al mio tattoo che sembra da sempre, a me, come un presagio, un avvertimento, "ricordati che il tempo passa", che in fondo il tempo non scorre all'infinito per fare della tua vita una cosa bella e autentica: che c'è un tempo - esattamente quello - che ti è dato: non un minuto di più.

Prego sommessamente, davvero, di venir giù ad ombrello, molla su molla, quando sarà l'ora giusta, l'ora esatta per poter dire senza dubbi "ho fatto tutto quello che ho potuto".

E chiudere così quel ticchettio che mi accompagna sempre, ogni giorno, a volte come un peso impresso sulla spalla.

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