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Come per la Pia

Pubblicato da enzo cilento su 1 Aprile 2014, 07:18am

Tags: #in vista

E’ sempre proficuo chiedersi “che cosa m’interpella stamattina?”, quando ci svegliamo.

Indubbiamente ci interpella il nostro bisogno di darci del riposo e un po’ di pace; di darci da fare per un impegno; persino per qualcuno che dovesse aver voglia di vederci e sentirci: che avesse bisogno di noi, uno che volesse essere aiutato a scendere nella piscina che lava e che purifica, come racconta il Vangelo.

Ed ognuno ha modo di fare questo: da qualsiasi postazione; in qualsiasi stato: fa’ quel che è il tuo compito, segui i tuoi talenti, mettili a disposizione e lo avrai fatto. Ma non voglio far prediche.

E’ bello – dicevo – la mattina chiederci cosa ci interpella dunque.

E questo è il compito del saggio, del monaco, di colui che tenta di mettersi in comunicazione e in unità con se stesso e con il cosmo, con Dio – se crede in Lui – con quella i buddisti direbbero l’armonia.

Essere in armonia, in fin dei conti è essere in grado di individuare questo, di rispondervi, di volerlo fare. E’ questo ci dà una grande pace.

Per uno che scrive e crea è la stesso creare a chiamare a raccolta: il mondo stesso ci dice “parla di me” ed a volte si ha la sensazione che davvero le cose e le persone affidino a noi il compito di narrarne la vita, le difficoltà, le bellezze e le brutture inevitabili, di inciderle sul marmo di una pagina; che vadano in scena, in un libro, in un racconto, persino in una omelia.

Gli uomini chiedono che collaboriamo quasi al senso della propria esistenza: vicende e persone che chiedono di non essere dimenticate.

E io non intendo dimenticare nulla.

Quando avrò finito il mio compito, voglio aver regalato un altro pezzo di vita a tante storie che ci implorano “ricordati di me che son la Pia”.

La ricordate la Pia dei Tolomei di Dante? Guarda il poeta, ne comprende la stanchezza, poi – con timidezza – gli si avvicina e, quasi come un’eco che si va spegnendo, gli dice “quando sarai tornato dal tuo lungo viaggio, ricordati di me che son la Pia. Siena mi fe’, disfecemi Maremma”. E come lei tant’altre che non chiedono solo di essere ricordate perché si preghi per loro, ma perché si doni loro ciò che Dante offre appunto in regalo, in versi: un po’ di vita eterna.

Quando si scrive e si crea, si ritrae, mi rendo conto che è proprio questo l’obiettivo: regalare non a sé ma agli altri quella immortalità che noi possiamo dare, il ricordo, le affettuose memorie di un sepolcro in rima o in prosa: questi volti e queste storie restano per millenni.

Come Luigia Pallavicini e Beatrice Cenci, come Fiammetta e il signore di Montgolfier, persino; Patroclo ed Ettore; Lucilio e Attico; persino Timoteo e Tito; l’amico Alipio e Adeodato; Monica e Scolastica; tutte le urne dei forti e mille uomini ancora che forti invece non sono, ma di cui qualcuno ha voluto eternare la storia.

Lo sento da sempre che è la loro memoria che mi interpella, anche questa mattina; che è per loro che scrivo e vivo e persino prego: che è la speranza, questa, anche per tanti, che non del tutto moriremo, nemmeno da questa parte della vita, da questa parte dell’universo: noi doniamo un po’ d’eternità ed è questo il dono che Dio ha dato agli artisti e a chi ama: di non far dimenticare.

Ieri, a questo proposito, gli anglicani ricordavano il poeta e presbitero John Donne. Parafrasandolo e contaminandolo – è vero – un uomo non solo non è un’isola; è molto di più: è come l’isola di Stevenson invece, quella che contiene in sé un tesoro. Da raccontare.

Mi piace pensare di poterne indicare a mio modo la via…

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