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Il basso profilo

Pubblicato da Enzo cilento su 6 Aprile 2013, 04:36am

Non raccontate a nessuno quel che è accaduto nel suo nome e non insegnate nel suo nome. La sensibilità altrui va rispettata. Ci viene chiesto sempre più spesso oggi: da amministrazioni e ministeri, direttori e presidi. Nessuno va ferito dicendogli chi siamo.

Perché il fatto è proprio questo: non dite a nessuno - per carità - chi siete. Nascondetevi gli uni agli altri in modo che nessuno si senta ferito da quel che siete. E gli uomini in questo modo sono sempre più soli, perché chi non si rivela è solo: solo con la sua identità, il suo segreto da non rivelare.

Va bene, va bene così.

Ma come faccio a non raccontarti che io vivo una vita reale e fervida perché mi sono sposato o perché ho incontrato quel tipo nella mai vita; perché non faccio altro che attendere la mostra della filatelia piuttosto che l'uscita della nuova incisione del maestro Muti o l'ultimo inedito della Callas, quando il centro della mia vita, ciò che mi tiene in vita, che fa sì che affronti i miei giorni, alcuni davvero uguali, è proprio quello lì?

Di che cosa parleremo dunque?

E' vero: tu sei al lavoro e devi svolgere un compito e devi farlo bene. Sei un pezzo di ingranaggio che deve funzionare al meglio al di là di ciò che tu sei. Eppure il mio funzionamento è determinato proprio da quel centro lì, da quel che sono: da quell'energia e da quell'equilibrio che mi chiedi di tenere per me.

Puoi continuare ad esistere e a respirare - ci viene detto sempre più spesso - ma certi discorsi tienili per te; anche solo un ciondolo al collo o una immagine al muro, una statuina che tieni sulla scrivania: per non ferire l'altrui sensibilità. Signori, ma è quel che sono che ferisce? La mia identità dunque? E perché io non sono ferito da quella altrui?

Amo invece quelli che se la portano addosso e in faccia la propria identità. L'uomo che al collo si porta un crocifisso e nel portafogli un immagine del volto santo, come quello dei suoi bambini; quelli che al dito mettono la fede perché non vogliono nasconderla e non ne hanno vergogna, così come infatti ce l'hanno nel cuore la fedeltà al proprio coniuge; quelli che mettono il colletto o l'abito da prete perché dire che io gli appartengo non solo dà gioia ma dice chi sono; quelli che sul cruscotto portano anche il Corano, se vogliamo, o un altro segno di appartenenza.

Sì, li amo - lo ammetto - molto più di quelli che portano le scarpe griffate e il cellulare, il tablet, l'oggetto di tendenza: lo fanno in tanti - si dirà - e quei tanti dimostrano di appartenere anche loro a qualcuno: a quegli oggetti e a quel sistema che continua a produrre idoli probabilmente.

Io non sono quel che indosso, non sono quel che uso ma quel che indosso ed uso parla di me, almeno un po': e questo è indiscutibile.

Voi volete che io non dica nulla dunque di quel tipo che mi ha cambiato la vita e la sua prospettiva; eppure io vi rispondo, vecchi saggi prudenti :"Se sia giusto dinanzi a a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi", come risposero Pietro e Giovanni, fortemente richiamati al basso profilo dai componenti del Sinedrio.

A loro era sembrato chiaro, dopo la Resurrezione, che gli fosse stato raccomandato: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo".

Ora io non discuto neppure sulla identità del Vangelo (per alcuni la Rivelazione per la propria vita risiede persino altrove): dico solo che a nessuno può essere impedito di portare in volto e nel suo corpo che pure racconta, nelle sue parole, le ragioni stesse della propria vita, ciò che ancora lo tiene e lo spinge, perché è solo l'Amore che ci spinge e su questo nessuno può obiettare e impedire nulla.

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