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Il figlio del falegname

Pubblicato da Enzo Cilento su 3 Febbraio 2013, 10:30am

Se c'è una precondizione perchè non si conosca è il non ascolto e di per sè il pregiudizio, "tanto so già quello che mi dirà", ed è questo purtroppo uno dei vizi da cui sono afflitti i nostri presunti rapporti. Credo sempre di sapere dove vuole andare a parare mio padre e la mia compagna, il mio amico, il prete e la ballerina, il circense e il giornalista, il Papa e il vicino di casa. Non che questo non sia vero talora ma è l'atteggiamento prevenuto che alla fine pregiudica ogni rapporto e lo rende inutile; forse anche perchè gli uomini sempre più spesso si nascondono solo dietro un personaggio, il proprio ruolo nella società (mi viene in mente la Jessica Rabbit che si giusitica dicendo di essere stata disegnata così).

Il bello del non-pregiudizio dipende invece non solo dalla liberazione dal ruolo che rivestiamo e che ci hanno disegnato addosso, ma anche dalla schiavitù della noia e della prevedibilità che di per sè sono l'anticamera della solitudine, dal momento che chi non incontra l'altro perchè lo dà per scontato, alla fine resta inevitabilmente solo, con sé stesso, anche con il ruolo che ha dato a se stesso: il disincantato ed il cinico: tanto tutto mi è noto.

Inutile aggiungere che chi ha questa presunzione, ignora l'altro, neppure lo sfiora, e in sostanza si condanna all'ignoranza di qualsiasi verità, per quanto transeunte; e soprattutto non si mette nelle condizioni per conoscere alcunchè: è solo l'interesse e il non dare per scontato che precede la conoscenza e non il contrario, dal momento che chi mette in atto il meccanismo della conoscenza, cioè dell'ascolto e dell'apertura, sa benissimo che guardare e mettersi ancora in ascolto finirà col portarlo ad altri dati e quindi ad altra conoscenza: è quasi il metodo socratico direi; che qui peraltro è il metodo suggerito anche dal passo del Vangelo di Marco di quest'oggi.

Gesù parla in sinagoga, stupisce dapprincipio, ma poi subentra la pigrizia e il pregiudizio "questo è figlio del falegname". Come dire."ma che vuoi che abbia da dire?". Sono i suoi vicini, i suoi concittadini, quelli di Nazaret a mettergli addosso questa bella etichetta, cosicchè le sue parole tra loro non sortiscono alcun effetto. "Sappiamo chi è costui". E invece no. Nessuno sa chi sia quel costui che ci è a fianco perchè ognuno di noi continua a costituire un mistero in fieri, che si va compiendo di giorno in giorno, tanto che la pagina scritta ieri non è la stessa di oggi e in quella di oggi c'è il mistero dello ieri e del domani, il principio della trasformazione, del cambiamento, dell'evoluzione. Ma chi è vicino questo non lo coglie quasi mai: chi crede di essere della nostra città, del nostro popolo, della nostra lingua, della nostra religione, ad un tratto senza neanche accorgersene parla una sua lingua che non è mai quella di chi gli è a fianco e che non comprende in alcun modo perchè ha chiuso gli orecchi e gli occhi e dà per sconatto ciò che non lo è, condannandosi ad una nuova torre di Babele dove ciascuno parla un linguaggio diverso, chiuso ed autoreferenziale, basato sul proprio codice immutabile e sulla propria pigrizia.

Gesù se ne va via passando tra la folla che vorrebbe buttarlo giù dalla rupe e va a parlare dove qualcuno sia ancora in grado di aprire le orecchie come di fronte ad un linguaggio nuovo, ad una buona novella ancora da realizzare, ad uno straniero le cui parole lasciano a bocca aperta: come i bambini.

Già! I bambini. Che sono gli unici ancora capaci di stupore, e che ancora non credono in alcun modo di avere appreso alcun linguaggio: bambini di qualsiasi età, i non prossimi, i non vicini (quali sono mia madre e i miei fratelli? - dirà Gesù altrove, mentre intanto parla a pubblicani e prostitute, peccatori e stanieri); quelli che riconoscono di non conoscere quelle parole, che non presumono di saper nulla di te ma che sono ricchi della loro curiosità, della loro sete di sapere e capire, non certo i ricchi presuntuosi che ritengono ai avere il segreto di ogni sapienza per i quali invece sarà ben arduo assaporare il regno dei cieli, come per un cammello entrare nella cruna d'un ago, già dissetati e sazi per cercare altro.

E' il rischio di tutti noi di fronte al profeta ed al mistero che ci sta accanto (ciascuno di noi è mistero e profezia, annuncio di Altro da sè e dalla nostra presunzione); il rischio di credenti e cristiani, figli dell'Occidente e del disincanto, dove ogni buona novella (evangelizzazione) sembra già vecchia inutile:perchè abbiamo chiuso gli orecchi e diciamo "è il solito figlio del falegname. Questa storia la conosciamo già".

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