Si apre il secondo dei miei nove giorni di questo viaggio intrapreso così, con Francesco d’Assisi. Ieri sceglievo la mia foto alla Porziuncola, Santa Maria degli Angeli, dove – basta un’ora di sosta alla stazione di Assisi – per potercisi recare: è appena là, a sinistra della ferrovia. E anche lì c’è un ricovero in pietra del santo, minuscolo, come doveva essere Francesco.
Alla Porziuncola la gente si ferma e s’inginocchia; poi, un po’ più in là va a vedere il luogo in cui Francesco in si sarebbe addormentato, ma non per sempre.
Ci sono invece come delle cellette di pietra – poco più di una stalla a Rivotorto - dov’erano i lebbrosi. E quello è un altro cammino da non mancare. Non manco mai di farlo, per ricordarmi anche la mia di lebbra. Perché se la Porziuncola è l’uomo da restaurare e il suo tempio grande e minuscolo insieme; Rivotorto è l’abbraccio da non mancare a chi è messo da parte e guardato a vista, l’intoccabile, il dolore, l’ultimo degli ultimi di cui pure non si può avere timore. La lebbre possono essere guarite e non di rado possono guarire chi ne viene a contatto.
Leggevo giorni fa il dramma “L’annonce” di Paul Claudel. Protagonista ne è Violaine; e la sua lebbra, l’isolamento e l’abbandono che ne consegue n una Francia un po’ di maniera dei tempi della pulzella d’Orleans.
Anche in Violaine, la lebbra fiorisce e dà frutti, appunto. Dai lebbrosi e dalle nostre ferite non c’è che da imparare.