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La veglia

Pubblicato da enzo cilento su 9 Maggio 2014, 04:58am

Tags: #la storia

Mi son trovato a vegliare ieri sera, a pregare, per così dire, con altre cento persone. Come si veglierebbe per le vittime e gli ostaggi di Boko Haram; per quelle dell'indifferenza; per le vittime delle miniere che divorano centinaia di persone alla ricerca dell'oro, la febbre, (e non parliamo dell'America dei pionieri); come si veglierebbe per un compagno ubriaco; per uno in ospedale, per una donna che sta per morire o che avesse appena partorito.

Si veglia spesso, come si vorrebbe che un angelo facesse fin dall'infanzia nei pressi del nostro letto. Veglia tu, angelo di Dio che mi proteggi.

Noi che invece vorremmo che un pover'uomo o una donna angosciata non potessero vegliare il proprio compagno o la propria compagna, in un lettino d'ospedale, solo perché la loro unione non ci piace.

A questi va negata la misericordia in nome dell'ideologia?

Se ne parlava giorni fa, sorprendentemente, con un prelato e lì ho letto "misericordia".

Conosco gente che vive tutto ciò e questa prospettiva infine come un'angoscia grande. Ed io penso che per loro si debba vegliare, che a loro vada consentito di farlo perché è umano, troppo umano, per negarlo.

Senza averne paura: l'amore, l'affetto, la solidarietà non deve mai mettere paura. Deve dare fiducia. Un mondo ove ci fosse più pietà, per tutti, non sarebbe un mondo migliore? Non è questo che ci avete insegnato?

Un mondo, dove anche ciò che non ci appartiene è capace, contro i nostri pregiudizi, di creare amore e affetto, tra soggetti liberi e consenzienti, non sarebbe un mondo più bello?

In ogni caso, si vegliava iersera.

E pensavo a questi trenta ragazzi mandati in mezzo al mondo come preti: non posso augurar loro che di essere il meno rigidi e ideologizzati possibile; che abbiano pietà, che la facciano crescere; anche se non so se sia a questo che sono stati preparati.

Vegliavano e ripetevano preghiere e litanie, i più.

Io mi facevo una domanda dietro l'altra, una preghiera tutta mia senza sdolcinature, spero, senza melodie zuccherose che pure spesso accompagnano queste cerimonie. Senza un Bach, un Mozart, un Verdi invece, una musica grande che dia davvero slancio verso il sacro, il dramma che ci separa da esso.

Perché quello che ci separa dal sacro autentico è la capacità di salire e di scendere fin dove c'è impossibile capire, in quelle veglie di gente come noi, diversa e differente, ma che non vuole morir sola e a cui nessun Dio può essere vietato. E perché?

Perché, se invece di canticchiare melodie post-moderne come a un misero Sanremo; e se invece suonasse nell'aria la voce dei grandi musici, grandi sarebbero di contro i pensieri e grande il senso della bellezza e la dignità della nostra fede solidale.

Su di un foglietto, alla fine, ci han detto di scrivere il nostro nome per portarlo davanti all'altare, come Dio che chiama col tuo nome ancora.

Io vi ho segnato quello di chi ricordo con struggente nostalgia e dei più disperati incontrati nella vita mia, drogati e morti soli, senza fede, senza onori, magari suicidi: a loro nessuno pensa mai; nessuno mai li chiama.

E ho sognato che un buon Dio senza sdolcinature finalmente, senza cattedra e scudisci, fosse con loro.

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