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Il Rabbi di Ger

Pubblicato da enzo cilento su 28 Maggio 2014, 10:01am

Tags: #la storia

“Quando Abraham Mordechai, l’ultimo figlio del Rabbi di Ger, morì, un chassid cercò di confortarlo con le parole di Giobbe: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore” (Giob 1,21).

Il Rabbi di Ger rispose: “Il mio dolore non dipende dal fatto che mio figlio è passato alla vita eterna, dal momento che questa era la volontà di Dio. Il mio dolore nasce dal sapere che d’ora in poi mi mancherà la possibilità di adempiere la parola. Questi comandamenti che io ti do, li ripeterai ai tuoi figli”.

Mi è ritornato in mente questo aneddoto della tradizione chassidica in questi giorni, più di una volta.

Qualsiasi cosa tu faccia con passione – anche smontare una bici - e quindi assecondando la vocazione della tua vita; qualsiasi sia la tua fede politica e religiosa, non c’è nulla di più grande che poterla condividere, poterne trasmettere i rudimenti, trovare un erede della tua arte, far sì che la parola, più che il comandamento, che dentro di te ti ha spinto ad essere ciò che sei, non rimanga senza ascoltatori: comunicarla è insomma fondamentale.

E solo questo è il motivo per cui si scelgono allievi e si desiderano figli: per trasmettere loro il senso e l’essenza della nostra vita. E’ questa l’eredità.

Qualsiasi altro motivo sarebbe solo artificioso, se non solo egoistico.

Il Rabbi di Ger ha a cuore che ciò che gli sta a cuore possa essere ancora raccontato a qualcuno: sa che si tratta di un tesoro da non disperdere.

E’ il motivo stesso per cui gli anziani ad un tratto possono avvertire la loro apparente inutilità: non c’è nessuno che li ascolti e che ne raccolga l’eredità e, se in un modello di società tradizionale, il vecchio era il depositario di arti e conoscenze rispettabili; il contemporaneo scorrere vorticoso di ogni innovazione tecnologica, vero totem di questa società frenetica e meccanica, fa sì che il deposito delle generazioni precedenti appaia inutile: che nessuno si senta né saggio né sapiente, solo superato dagli eventi.

Muoiono i mestieri, si diffida di tutto ciò che sembra sia ormai solo passato.

E’ una lotta contro i mulini a vento; nonostante le maestre, a scuola si applichino di frequente a mantenere viva presso i bambini la memoria di una società diversa, contadina, industriale o post-industriale, approfittando di visite museali, di fattorie didattiche, di laboratori, di ricerche e di interviste agli anziani, in casa e nei dintorni.

E’ che tutto rema contro invece; e che nessuno crede che al fondo di ogni vita ci sia la voglia, il desiderio struggente di poter lasciare qualcosa, di poter riferire la parola che si è portata dentro per tutta l’esistenza, quella che il vecchio Rabbi di Ger non si stancava di riferire al figlio, prima che gli eventi glielo strappassero dalle mani.

Alzi la mano chi non vorrebbe raccontare ciò che ha imparato, ciò in cui ha creduto nel corso della sua esistenza.

Dovremmo inventarci qualcosa perché ogni uomo avesse alla fine un garzone a fianco, un ragazzotto, una classe di mocciosi ad ascoltarlo. Bisognerebbe che tutti credessimo nel fatto che ognuno di noi, prima di sparire, ha un segreto da poter rivelare: a te, proprio a te, intendo.

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