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Tre donne intorno al cor

Pubblicato da enzo cilento su 29 Aprile 2014, 07:41am

Tags: #la storia

Caterina (oggi, la ricorrenza della Chiesa cattolica) è un nome che mi è molto caro.

Mi sono fermato così, sorridendo, un attimo fa a pensare a come mi fosse familiare questo nome. Mi è venuta in mente un triade, Tre donne intorno al cor mi son venute; sono riandato alla prima delle Caterine che ho amato, pertanto.

Un’attrice, grande, una icona: la Hepburn, quattro premi Oscar. E a tutto quel cinema che fu.

Si tratta di quelle passioni inspiegabili nate davanti allo schermo, il piccolo inizialmente, guardandola in certe pellicole, dal ‘36 in poi, che ne hanno sancito la bravura "mostruosa", a detta di tutti, persino consapevole, con quel dominio persino aristocratico che sapeva avere sulle parti, regina della commedia raffinata e brillante, sofisticata, secondo gli stilemi e i canoni di King Vidor e George Cukor.

"E dire che - ricordava lei - le mie maestre dicevano che parlassi solo di gola; che non sapessi emettere la voce al modo giusto, che non sapessi usare il diaframma". Bendetti maestri del nulla!

Di lei, della perfetta wasp, bostoniana, un po’ sprezzante e leggermente snob (giocava a tennis e metteva i pantaloni quando il mondo andava in tutt’altra direzione), s’è detto tutto, peraltro: dalla storia con Spencer Tracy in poi. Anche lei ad un tratto non ha resistito alla tentazione di raccontarsi; ma con molto buon gusto senza pruderie: va detto.

Io di lei voglio ricordare qui una delle sue cose meno note, una commedia inglese della maturità, “Amore tra le rovine”, dove interpreta, al fianco di Laurence Olivier, la parte di una zitella di carattere (caratterizzazione che peraltro le riusciva sempre con successo) che si ribella all'idea di essere descritta come tonta e rimbambita in un processo in cui la parte escogitata dall'avvocato Olivier le farà vincere la causa. I due si combinano che è un piacere: sarà che Olivier nella vita ebbe a fianco una dal carattere simile, la Vivien Leigh.

Senza dimenticare il tardo, crepuscolare, “Sul lago dorato”, premio Oscar, al fianco di Henry Fonda.

Caterina appunto, Katherine Hepburn, con quel tremito meraviglioso, come la Valeri oggi, che la rendeva così delicata e fragile negli ultimi anni, una volta ammalatasi di Parkinson e che ne faceva una regina meno inavvicinabile, per intenderci.

Se avessi un numero di telefono a cui chiamare, la chiamerei, oggi, dall’altra parte della vita: per dirle grazie.

Per l’intelligenza messa al servizio della leggerezza, che è sempre un gran dono: come in “Indovina chi viene a cena”, vado a memoria, divenuta quasi paradigma di un modo tutto femminile di essere ironica e sdrammatizzante.

Ma Caterina è anche la Deneuve, la donna dei miei sogni, oggi radiosa e settantenne, (Otto donne e un mistero, uno dei miei preferiti, del tutto fuori dal solito cliché della bellona immobile oltretutto); e anche "il casco d’oro" della mia infanzia, la Caselli Caterina, cantante, che ha interpretato Guccini e Conte, tra l’altro.

Ad ogni mio provino ho sempre interpretato la sua “Insieme a te non ci sto più”. Le sono grato: è il motivo della vita mia e la riassume quasi tutta, per intero.

Insieme a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù - diceva.

Beh, io invece con loro ci sono stato benissimo.

Auguri, signore Caterine.

La verità è che - riprendendo il testo dell'ultima citazione - si muore sempre un po' per poter vivere...

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