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Significar per verba non si porìa

Pubblicato da enzo Cilento su 23 Febbraio 2013, 18:54pm

Ho provato a leggere ed a capire qualcosa, oggi - attraverso le pagine del Catechismo della Chiesa Cattolica - in merito al Mistero della Trinità. Confesso e quasi ne sorrido la mia totale inadeguatezza, termine che peraltro di recente constato di usare semre più di frequente. Perchè indubbiamente siamo inadeguati a spiegare ogni cosa con le povere certezze della nostra ragione. Solo una enorme presunzione può pensare diversamente e per questo mi fa tanto specie che spesso uomini di cultura e anch'io in passato si sia potuto pensare di razionalizzare, accettare o negare ogni cosa a partire dal nostro stesso limite peraltro evidente. La prima conclusione cui bisognerebbe giungere - mi dico - è quella della propria limitatezza ("di ogni cosa perfetta ho visto il limite" - dice il salmista: eppure nulla sembra essere tanto perfetto quanto il nostro pensiero e la nostra ansia di conoscenza.

Mi torna in mente così, non a caso, un passo dantesco in cui si dice "trasumanar, significar per verba non si poria"; cioè parlare di questa esperienza che va oltre l'umano è impossibile spiegarlo in parole: sono gli stessi gemiti inesprimibili del nostro spirito che ricorda S. Paolo. Ma già quei gemiti, vagiti di un bimbo in fasce, sono già segno di una tensione verso il trasumanar che significa la nostra stessa tensione verso il solo razionalmente inspiegabile, il non riducibile, Dio, lo chiamerei, e l'esperienza di Lui. Che però non è solo Trasumanar, visto che il nostro Dio si fa Uomo e si fa concretamente vicino, modello: "E' il mio figlio prediletto. Ascoltatelo". Come dire che, chiunque lo ascolti, conoscendo Lui, approda al mistero stesso della Trasumanazione e di quella Trasfigurazione di cui domani ci parla il Vangelo di Luca.

Saliti sul monte, con Gesù che vi si era diretto per pregare, Pietro Giacomo e Giovanni assistono a questo colloquio così intimo di Gesù col Padre, preghiera pria di tutto, durante la quale i tre apostoli vedono Gesù stesso parlare con Mosè ed Elia, due uomini dell'antica storia di Israele, perchè l'alleanza è sempre un'alleanza concreta con degli uomini, dei popoli, della gente in carne ed ossa. Dio è con noi, molto meno incomprensibile e invisibile di quanto non si pensi.

Deve crescere il nostro linguaggio per poterne parlare e il nostro occhio deve imparare a leggere l'insieme e l'economia della nostra esistenza: deve crescere la nostra capacità di parola, dicevo, cioè aderire al Verbo per eccellenza, l'ultima e definitva parola sull'uomo, Cristo. Solo così noi parliamo compiutamente di Dio senza blaterare o vagire; infine fissare lo sguardo, aprire i nostri sensi al Miracolo che si compie davanti ai nostri occhi: essere uomini straordinari significa chiedere di entrare in relazione col Padre da cui siamo generati e creati. E il Padre buono ci risponderà!

Come si vede, è davvero poco quel che mi riesce di dire. Di certo, la voce del Padre, che è inscritta nei nostri cuori, quella che ce lo fa riconoscere, passa attraverso lo Spirito di Dio, forse è la su cassa di risonanza; e passa attraverso la figura visibile del Figlio, eccone l'immagine, tanto che anche Giovanni Battista (oggi mi è capitato di leggere del suo Battesimo) fa esperienza di questa stesso richiamo "imitatelo"; così come Maria alle nozze di Cana (Fate quello che Egli vi dirà).

Credo che al di là dei miei poveri sforzi, sia solo questa la via da seguire: tenere fisso lo sguardo, aperto, sull'esperienza tutta di Cristo, seguirlo, perchè ci conduce alla vicinanza, alla comunione col Padre, ad entrare in quel Mistero che oggi, con i miei poveri strumenti, ho cercato di avvicinare.

La preghiera è del resto la prima forma di studio, credo, la prima "applicazione" (v.l'etimologia), e quindi adesione; e solo chi chiede di sapere può sperare di ottenerlo, qualsiasi studio stia compiendo: chi non chiede, è perchè ritiene di poter fare da solo e quindi rischia di infrangersi nel proprio limite e, non riconoscendolo, nel proprio errore: nessuno può avere la presunzione di darsi le regole da solo come se mai nessuno ne avesse fatto qualche esperienza prima e non averle applicate. Oltre all'errore, si rischia l'ottusità (negare tutta l'esperienza di chi ci ha preceduto) e infine di perdere tempo.

Solo aderendo insomma, buttandosi sul libro dello studio e quindi di tutta l'esperienza e la ricerca precedente, si imparano le cose.

E così per parlare di Dio allora, prima di ogni altro libro va appreso un alfabeto: Cristo è l'afabeto: anzi è di più: è l'alfa e l'omega. Contiene tutto della materia di cui stiamo cercando e tutto è comprensibile da questa familiarità, persino la nostra intelligenza, tanto che nessuna teologia, nessuna Scrittura è comprensibile ed avvicinabile se non è preceuta da questa intimità e dall'apprendimento di questo abc. Forse è questo che ancora non ho appreso: e quindi non ho appreso niente.

L'alternativa temo sia quella di dire "Signore, che bello. Mi sembra di capire tutto. Fermiamoci qua" - come dicono Pietro Giacomo e Giovanni di fronte alla Trasfigurazione. Ma è un inganno.

La luce è fatta per continuare il cammino, perchè non sia messa in sicurezza sotto il moggio e perchè tutti quanti, come la città posta sul monte, possano vederla. E questo spettacolo, il più bello, non è esprimibile con parole limitate dalla sola condizione umana ma illuminate, e quindi ancora più umane, dalla confidenza col proprio limite e con la propria tensione verso quello che lo trascende. Forse quello che viene chiesto non è tanto una parola su di Lui, quanto un atteggiamento: quello della tensione verso l'adesione ad un Padre. Praticamente una richiesta, una preghiera.

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