Non facciamoci distrarre. Lo dico a me, innanzitutto.
Le occasioni perché questo accada sono infinite. Insomma voglio dire che per strada gli specchietti per allodole e “merlotti di turno” non mancano mai. Poi ad un tratto ci si accorge di aver dimenticato dove si stava andando.
E’ quanto accade pure allo scrittore e al narratore, aggiungo. Si parte. “Voglio parlare di una meravigliosa storia d’amore in terra di Normandia”; certo. Poi ci si ferma a descrivere le onde e le scogliere intarsiate di ghirigori; tramonti e albe che non finiscono mai; poi ci incantiamo a guardare, a ricordare, flash back diversioni e divagazioni; meandri pirotecnici e flussi di coscienza insomma. Così tanto andare che alla fine uno si chiede “ma di cosa stavamo parlando?”. Chiacchiericcio.
Nello specifico, però, fuor di metafora, anche nell’avventura personale attuale - ricerca soluzione abitativa ad hoc - avviene che – detto che la rigidità talora può essere segno di forza e altre di scarsa intelligenza (?) e di scarso realismo (mah!) – uno stia perseguendo un ideale;
e che nel frattempo ti capiti di poter fare questo e quello. Ti vogliono far scrivere e collaborare (magari!); “stai con noi”, “vieni a cena”; parliamone, compriamo; che ti capiti di poter avere la casetta in Canada – che bella! - con tanti fiori di lillà; e poi infine di pensare anche alla necessità di una macchina che ti porti a spasso; e poi chissà. Bisogni e indotti.
Così che tutto questo alla fine può diventare sostitutivo di quel che stavi costruendo, mentre te ne allontani e te ne dimentichi un po’; forse anche perché il resto è tutto più a portata di mano.
No, insomma bisogna ridirselo ogni tanto: non va perso di vista il motivo per cui ci si è mossi. Chiederselo sempre. “Cosa voglio davvero?”
Il contrario è spesso surrogato e nostalgia per il cocomero saporito e per il cibo succulento che si mangiava in quella bella terra d’Egitto, per un bel vitello d’oro da mettersi a servire: sei tu che mi fa felice!
Vero? Ne dubito. E’ solo un auto-inganno.
Leggo a proposito con interesse, in questi giorni, gli interventi sul web di un mio nuovo “amico di rete” che presenta tra le tante, la storia del monachesimo; e insomma, interviste e filmati doc.
E’ un’opera meritoria per tanti versi.
Non facciamoci distrarre, però. Lo dico a me, innanzitutto. Non perdiamo lucidità neppure di fronte agli ori ed alle glorie del passato e a quanto chiede urgentemente invece di essere riformato, pur se non dimenticato.
Ferma infatti l’ammirazione per la storia gloriosa di cui sopra; possibile che non ci sia qualcosa su cui dovremmo interrogarci per l’oggi e il domani anche di queste forme di vita?
Mi chiedo, nella fattispecie – e qui chiamo in causa esperienze personali e non – perché mai Ordini pur tanto celebrati (qui mi riferisco ai Certosini di cui ho contezza) mantengano severissimi limiti di età per potervi fare ingresso e altre amenità affini?
Sono cambiate le aspettative di vita, nel mondo; la qualità della vita stessa. Cambia il mondo e gli uomini che chiedono di essere accolti ed ascoltati.
Ha ancora senso tenere in piedi questi muri, barriere, questo regolismo rigido e orami immotivato (non è “Cicero pro domo sua”)?
E allora penso che qualcosa vada cambiato o offerto in alternativa. Me ne ricordo: già!
Perché negare a chi ne provasse il desiderio, di vivere una stagione della vita nuova e antica, a quaranta a cinquant’anni; nella parabola per così dire, discendente di questa?
Crediamo insomma – lo ripetiamo sempre – che “Nulla è impossibile a Dio”. Che anche la vecchia Sara e Abramo; che Elisabetta e Zaccaria possano concepire un figlio …
E noi chi siamo per mettere paletti alla bellezza e alla voglia di vivere? Questo è uno dei sogni e dei bisogni che sta alla base delle cose da cui non vorrei distrarmi.
Altro che casetta in Canada.