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Non luogo Thibirine

Pubblicato da enzo cilento su 26 Gennaio 2015, 08:34am

Tags: #Lo spirito del viaggio

Non luogo Thibirine

Un luogo, specie un luogo dello spirito, è spesso più propriamente “un non luogo”: è quasi solo una sensazione ed è un’esperienza, a suo modo, nella sua dimensione; talora lo è solo al livello dell’immaginazione; quasi come un’infatuazione, uno stordimento, sogno, e insomma intuizione.

Un luogo è anche una condizione ed è un ideale poi.

Ecco perché i luoghi più belli sono sovente quelli dove siamo stati poco più che passanti; in cui immaginiamo quel che potrebbe essere, non potendo fare oltre, luoghi di passaggio. Anche se a viverlo un posto può essere anche esattamente il suo contrario o infine rasentare la perfezione di quello che sogniamo.

Parlo di un posto così, oggi, per me solo una fascinazione, proiezione: di un luogo in mezzo ad un deserto o poco più, in un’enclave musulmana, in terra d’Algeria, venti anni fa.

Il film “Uomini di Dio” prima; poi i libri di Christian Salenson, e quello di Maurice Borrmans infine, “Lettres à un ami fraternel”, lo ha reso noto a tanti: è solo un monastero intendo, a Thibirine, Algeria.

Ci sono fotografie datate a farcelo conoscere il posto, fotogrammi di un film, luogo-scenario di un rapimento di monaci occidentali appunto e poi di un massacro, diciannove anni fa: sette monaci bianchi (erano nove in tutto) alla ricerca di un dialogo: il Dio dell’Islam non è incapace di accogliere chi cerca Dio: “il mondo è ciò che le grandi anime ne fanno” – sosteneva uno di loro, fratel Luc.

E i posti insomma li fanno gli uomini: sono loro a renderli diversi, nel bene e nel male, dico.

A Thibirine era solo un luogo non luogo di preghiera e di riflessione, come tanti- poco o nulla che riguardi la storia dell’arte – là, in mezzo ad una comunità che pregava certo un altro Dio, auspicando che la stessa ricerca potesse metterli insieme gli uomini: illusione che risulta spesso fatale.

In quelle foto un po’ così, persino banali, c’è un chiosco da nulla, come tanti, e vetrate arabesche, rampicanti alle pareti e degli uomini vestiti in nero e bianco, tenuti insieme da uno stesso ideale.

“Cacciati da un luogo, andremo in un’altra città” – si spiegava il priore Christian de Chergé.

Ecco perché si tratta non proprio di un luogo, ma di un luogo possibile. Ognuno in fondo ha il suo, in cui cercare ciò che gli riempie il cuore.

Ed ogni luogo lontano che ci fa sfiorare il tetto dell’esistenza, il senso, è una Thibirine da ricordare; luogo persino tra stranieri, dove ci conduce quella sete che non si spegne, forse mai, mai in nessun luogo appunto, mai su questa terra. Son questi i soli posti da visitare – mi dico.

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