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Monaci antichi e santità moderne

Pubblicato da enzo cilento su 17 Gennaio 2015, 16:30pm

Tags: #I PADRI

Chissà per quali strade passa ora la santità. Molte sono state quelle percorse in passato; talora così distanti; talora complementari.

E' bello poter pensare all'originalità dei percorsi: mille e più sono le "vocazioni", pe così dire, attraverso le quali vi si può giungere. Che poi sia una strada per la felicità è probabile; anche qui; non solo dopo, non solo altrove.

Ci rifletto in questo periodo, di frequente; perchè gli stessi percorsi tradizionali - taluni, in evidente stato di crisi - vengono nel frattempo affiancati o ancora soppiantati da altri.

C'è un fervore neppure tanto sotterraneo, direi, come un fermento che insomma mostra un cambiamento anche epocale, se non sembrasse forzato, il termine; e se in effetti non fosse così inflazionato.

La tradizione intanto, in questi ultimi due giorni, ieri ed oggi; ci mostra un esempio straordinario di questa varietà.

Tra l'uno e l'altro esempio in questione del resto intercorrono mille anni di cristianesimo; anche se la nostra prospettiva sul passato ci fa appiattire ogni cosa e ci fa credere che sia "genericamente" il passato e basta.

Berardo e i protomartiri dell'Ordine Serafico, ieri, cioè i primi martiri dell'Ordine Francescano. I quali, partiti dalla penisola iberica e recatisi alla corte del Gran Sultano paiono tutti protesi in quest'ansia di conversione che peraltro noi "moderni" abbiamo fortemente riconsiderato (il proselitismo oggi viene considerato non un obiettivo primario, intendo; anzi, da questa accusa ci si difende con forza). I giovani di cui sopra vanno inevitabilmente incontro al martirio.

Ci sono pagine di cronaca dedicate al loro supplizio e alla loro resistenza: inutile aggiungere che somigliano agli Acta Martyrum più antichi. Ma questo è un altro discorso.

Oggi invece si celebrava la ricorrenza di S. Antonio Abate, uno dei padri del monachesimo orientale, il quale sceglie deliberatamente il deserto e la solitudine, assecondando l'idea di vendere ogni cosa, di rendere il ricavato ai bisognosi e di vivere in grande povertà, in preghiera, certo, e lavorando con le proprie mani.

Era un altro mondo, certo; e mi chiedo se oggi, a fianco ai modelli tradizionali dell'eremita e del monaco che vive della sua attività contadina, non si possano affiancare mille nuove attività lavorative che pure scandiscano egualmente la vita del monaco ("monos", tutt'uno con la sua dimensione verticale e trascendente).

Sarebbe stato possibile (e già avviene da secoli) che il religioso vivesse del suo lavoro nell'editoria e nelle scuole, negli ospedali.

Ma oggi potrebbe fare anche il grafico - perchè no? - o forse lo scrittore e il disegnatore,l'operatore culturale; occuparsi di teatro e di danza, di cinema e televisione, web; persino della gestione di un centro per l'avviamento alla pratica sportiva (e in fondo sarebbe replicare l'esperienza degli oratori).

E la scelta di deserto, di vivere nel contempo una vita concentrata sul bene sommo della propria vita, sarebbe infine un progetto da condividere e da portare in ambiti meno tradizionali, con modalità adatte ai nostri tempi, a questa civiltà che cammina su altri sentieri e seguendo altri ritmi di lavoro e stili di vita. Mi sembra uno spunto di riflessione, non nuovo peraltro, non rivoluzionario.

Nella mia esperienza, fin qua, ho incontrato - è vero - tutti quei religiosi dediti alle attività di cui sopra (sanità e assistenza; istruzione e soprattutto attività contadina), esattamente secondo tradizione: mi piacerebbe pensare ed augurarmi che nuove frontiere vengano abbattute, anche in campi del tutto inattesi, finora impermeabili.

Il domani spero davvero ci riservi tante sorprese.

Ci stiamo lavorando, sperando di non disturbare.

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