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Chiusa la trattativa

Pubblicato da enzo cilento su 23 Aprile 2014, 09:39am

Tags: #la storia

Dicono che un blog è un blog e non un giornale: quindi l'uso che se ne può fare è assolutamente personale.

E' l'errore in cui sono caduto: per mesi l'ho ritenuto poco meno di una terza pagina, modesta, ma pur sempre "terza pagina", cioè cultura: di bassa lega magari.

E' un po' però che - tramortito sulla via di Damasco, quella bombardata dai difensori del regime di Assad - di questo blog ho finito col fare altro: un uso personale appunto, scorretto, poco più di un diario di bordo: e a bordo, oltre ai libri e alla cultura che non si vede e neppure si sente (nessuno ne ascolta); infuria ormai la peste e la guerriglia.

A bordo c'è il virus dell'infelicità insoddisfatta: che sicuramente porta alla morte. Possibile che solo voi, stranieri, non sappiate di quello che è accaduto in questi giorni a Gerusalemme?

In realtà è come se fossimo al termine del viaggio.

Abbiamo viaggiato molto da quell'estate del 2009: il teatro mi ha condotto fino al Dio degli ebrei. Da lì, nel giro di un anno, eccomi ad Assisi e poi ancora a Milano, a Chiaravalle di San Bernardo; di là verso una famiglia religiosa specializzata in vendite di almanacchi e sottoprodotti editoriali; di là verso tonache e diocesi di vario tipo, seminari.

Di là infine e ancora fino a questo approdo del nulla che sperimentiamo: non siamo approdati in nessun posto insomma.

Se cercavi la terra della felicità, quella non c'è.

E neppure quella di Dio incarnato.

E' andata così ed oggi ne celebriamo la fine, insomma.

Mi chiedo dove Cristo mi abbia voluto sbatacchiare fino ad ora in questi anni.

Io ho scoperto di valere poco intanto, di avere qualche difetto di fabbricazione. Le cose i luoghi e le congregazioni i seminari e le diocesi, un vizio di fondo: di non essere che un luogo, quasi sempre, popolato da uomini.

Abbiamo sognato e viaggiato: questo posso dirlo e posso dire di avere scoperto che è questa solo la mia vocazione: sperimentar significar per verba non si porìa...

Dopotutto, ogni cristiano - a questo mondo - fa la medesima esperienza: pellegrini senza lacrime, dopo un po', e disillusi.

Ne faccio un uso personale, per dire che si deve tornare a vivere nella furia del teatro e della messinscena; che il cielo è un telone ed una tenda scura, il sole un faro sullo sfondo; la parola una recita memorizzata a fatica; che l'arte di vivere è recitare bene il ruolo che ti assegnano e che non sempre vuoi; che arrivi al punto di dire "cambio scena" e rivolti il copione.

E' finita: come un matrimonio triste senza figli e infine senza carezze, nemmeno quelle svogliate e tenerezza. Come finiscono i crediti al telefono e resti a mezza voce e a metà del tuo discorso. Come il progetto per cui son terminati i soldi: mentre la struttura si riempie d'acqua e di erbacce, vere ed infestanti, sempre.

Saperlo dire, come si fa con l'amante: saper dire: non si sente più nulla. Insieme siamo stati a Praga a Parigi a Nuova York e a Berlino. Le vacanze in montagna e le preghiere alla luce delle candele, sperduti, tra le Alpi Orobiche. E poi ancora i viaggi in treno valigia da fare e da rifare; traslochi continui fino alla fine. Finito.

Una volta ci restavano le foto Kodak e le cartoline: oggi non più, col digitale. E intanto la fatica di cambiar numero e di cambiare stanza, cambiar locale e cambiare strada. Saper dire "finito" e saper dire "chiuso" saper dire "dimenticato".

Ci ardeva il cuore a sentirti parlare e ancora si scuote oggi nel farne memoria, Gesù mio che tutto pure sembra sia cambiato: che questa lettera viene dal fondo dell'angoscia e del disorientamento, Emmaus che non ricordo dove vado. Eppure sento che già sono altrove.

Mentre cercavo di spiegarlo, sentivo come una piaga che si apriva come un ghigno in viso, un amaro sorriso, dicendo "non ci siamo capiti e non mi hai creduto: neppure questa volta. Non c'è pietà per quelli che hanno perso il vizio di mentire".

Mentre, dall'altra parte della scrivania firmavo la fine del contratto e la chiusura, la spartizione dei beni; e cedevo tutto, pur di andare via, di risparmiarmi il dolore della trattativa, sentivo che - come un Abramo qualunque - stavo per ripartire per l'ignoto, solo, con un figlio pieno di rammarico che mi seguiva come un'ombra e che avrei dovuto uccidere, sacrificare, per provare a non essere infelice.

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